fi 18 MEZZO SECOLO DI STUDI ECONOMICI E STATISTICI denti variazioni dell'assetto economico e sociale della patria. Nelle meditazioni dei suoi economisti, nelle elucubrazioni de' suoi finanzieri, nelle stesse fantasie più temerarie de' suoi sognatori sociali, l'Italia non ritrova soltanto le espressioni della propria mentalità nativa dispiegantesi in un vasto campo del sapere, ma ritrova se stessa, il proprio tragitto, l'eco ed il fedele riflesso delle sue fluttuazioni storiche, delle sue gloriose ascensioni od inopinate catastrofi, lo specchio alfine nel quale essa vede riflet- tersi i mutamenti successivi della propria fisionomia sociale, e gli aspetti a quando a quando luminosi od opachi, ch'essa ha rive- stito ed assunto nel semisecolare intervallo. Chi invero per poco ricerchi lo sviluppo, che ha percorso la scienza economica in Italia nell'ultimo cinquantennio, non tarda ad accorgersi che tale sviluppo è prodotto e fedele riverbero della evoluzione economica della nostra patria e che in questo, più che in ogni altro campo del sapere, l'ordine delle idee fedel- mente seconda l'ordine immanente delle cose. Al principio del secolo passato l'Italia era un paese di pic- cola cultura e di piccola industria, refrattario ai progressi della tecnica ed asserragliato da una serie di vincoli fide-commissarj e protettori, che ne arenavano l'espansione economica e produttiva. Sui latifondi dell' Italia superiore e meridionale brulicava uno sciame di salariati miserabili, mentre nell'Italia centrale prevaleva il contratto di mezzadria, più propizio alle sorti del lavoratore, ma altrettanto avverso ad ogni deciso progresso della tecnica rurale. Il credito, tuttora barbarico, languiva fra i Monti Frumentari, pra- ticanti l'usura agricola, le banche private, praticanti l'usura com- merciale e qualche vecchio istituto di credito consuntivo, come i Banchi di Napoli e di Sicilia. Ora si comprende come un si- mile assetto economico mal si prestasse a fecondare una teoria luminosa e profonda. Perciò non è meraviglia se l'economia po- litica di questo periodo si esaurisce per lo più in declamazioni sentimentali o in aifermazioni filantropiche ; se gli scrittori del- l'epoca sono radicalmente impossenti a divincolare dalla congerie dei fatti e delle istituzioni anodine vigenti una teoria verace e conclusiva, e se essi si rivelano per tale riguardo inferiori agli stessi economisti tedeschi dell'epoca ricardiana. Sopratutto ciò che è notevole e che riesce perfettamente spiegabile al lume dell'assetto economico della penisola, è la invincibile antipatia dei nostri economisti ad accogliere le teorie di Ricardo, che Melchiorre Gioja, Romagnosi, Cattaneo e perfino Cavour o diret-