TINDKIF ^ ■■dei libri delmese^I fine si è cercato di chiudere il cerchio dell'interpretazione, quindi di dare un'interpretazione globale. Questo era un peccato veniale, che andava incontro in qualche maniera a una richiesta ideologica allora attuale. In realtà, che ci fosse una mente unica dietro quel disegno è irrilevante. Che tutto invece questo clima, queste persone, queste strutture con- vergessero in questa direzione: questo era rilevante! Cioè, noi abbiamo chiuso il discorso, mentre il discorso doveva rimanere aperto. G.: Due parole su come abbiamo lavorato. Il lavoro del trio è durato circa un mese. In quali condizioni materiali? Anche questo, se permettete, è importante ricordarlo. Pri- mo: il povero M. viveva accampato in casa mia, dormendo sui ritagli di giornale, e mangiando quel poco che eravamo in grado di offrirgli, perché, tra parentesi, io ero disoccupato. P. era professore, no che era?... assistente? Ai viaggi Roma- Milano-Roma di M. dovevamo in qualche modo provvedere noi coi soldi che non avevamo, né altri soldi ci sono venuti da chicchessia. Neanche, che so, le centomila lire simboli- che del sindacato. Secondo ■— posso dirlo? — la paura. Perché eravamo terrorizzati. Vivevamo in un clima — come vogliamo dire? — di semiclandestinità. F.F.: Avete avuto delle querele? P.: Ma mi pare che nessuna sia andata in porto. G.: No, comunque l'editore ha avuto una serie di proces- si niente male. Quindi vivevamo anche in questa sorta di autoclausura, in cui dovevamo stare un pochino attenti. G.: E poi: chi avrebbe pubblicato questo libro? Non è mica stato facile. Perché ci hanno detto di no in molti, a cominciare da Feltrinelli. Sto cercando di ricordare come siamo arrivati a Giulio Savelli. Direi un po' per esclusione, per sondaggi, anche perché noi eravamo tre illustri scono- sciuti. Doveva essere un rapporto basato sulla totale fiducia reciproca; totale nel senso che l'editore si doveva prendere il rischio di pubblicare una cosa della quale lui solo sarebbe stato responsabile. Cosa che in effetti è accaduta. Siamo arrivati a Giulio Savelli, editore allora più o meno in crisi, però sicuramente molto impegnato politicamente. Gli va dato atto che si è preso carico di questa grossa responsabili- tà. Ha avuto delle noie di tutti i tipi, anche a livello poliziesco, mi sembra. Ci furono degli interventi nella tipografia, bruciò qualche cosa... Il discorso dei diritti d'autore è legato alla decisione di non firmare coi nostri nomi e cognomi questo libro. Se il libro era una controin- chiesta, frutto di un lavoro collettivo, era anche giusto che i benefici economici della vendita andassero, diciamo così, al movimento. La distribuzione avvenne tramite vendita mili- tante. E già con questo si fecero fuori decine di migliaia di copie. Subito dopo in libreria. Non so se il povero Savelli, almeno nelle librerie, abbia visto qualche soldo. Comunque quel che gli è costato a livello di processi ha ampiamente mangiato quello che può avere incassato. M.R.: A voi non è mai venuto in mente, man mano che avevate delle notizie, di andare da un magistrato inquirente, o comunque da un magistrato? G.: No. G.G.M: Perché? G.: Volete una risposta retorica? Perché non soltanto la nostra fiducia nelle istituzioni dello stato era nulla ma addirittura ci ponevamo nei confronti delle medesime isti- tuzioni dello stato come nemici, come rivali, come antagoni- sti. P. : Aspetta, aspetta. Il recupero del valore delle istituzio- ni è avvenuto anche grazie a iniziative come la nostra. Però indubbiamente in una situazione nella quale si percepiva questo grave inquinamento, francamente la que- stione non si è posta. D'altra parte il concetto di controinformazione non sta in piedi, se il concetto di istituzione sta in piedi. Il concetto di controinformazione sta in piedi quando vacilla la struttura delle istituzioni. Allora nascono le controinformazioni e saltano anche le distinzioni tra professionalità diverse. G.: Bravo Professore! In ogni caso la nostra idea di fondo era che queste stesse istituzioni non avrebbero fatto nessu- na fatica ad andare a comprarsi il libro e a leggerselo. Cosa che è stata fatta; tanto è vero che qualche mese dopo, in uno dei tanti sopralluoghi fatti dalla magistratura nella fatale stanza di Calabresi per cercare di ricostruire la morte del Pino, nella libreria dello scomparso commissario c'era ben in vista una copia della Strage di stato. Non ho resistito — pensavo di non commettere niente di illecito — alla tenta- zione di scorrerlo, come si fa di solito quando si va in casa degli altri, e vi assicuro che era sottolineato con penne multicolori, annotato, pieno di asterischi ecc. G.G.M.: Quale fu l'atteggiamento del Pei, del Psi e dei sindacati all'epoca in cui voi scrivevate il libro, e poi quando il libro uscì? P.: In quel momento c'era una forte sottovalutazione del problema, e comunque non c'era assolutamente il desiderio di mettersi a fare delle controinchieste. D'altra parte, in tutti quegli anni, in cui ci furono — risulta ormai dai processi — una serie di tentativi di colpo di stato, le mitiche organizzazioni in realtà non avevano messo in piedi niente per seguire quelle notizie che spesso si ricevevano col tam- tam, che si passavano. C'era una assoluta sottovalutazione del problema. Questa era la questione. I.P.: Può essere una vostra convinzione, ma certamente non era così. Il partito comunista aveva già subito la strage di Portella delle Ginestre, sapeva benissimo. La concezione che esistesse una lotta di classe non l'avevate mica scoperta voi. Mi sono riletto il primo comunicato della direzione del partito comunista pubblicato il giorno dopo la strage. E politicamente perfetto, ineccepibile, viene indicata subito la matrice neofascista della strage. È questo il limite del vostro discorso: perché voi pensate di aver detto molto, ma avete detto poco, in realtà. G.: Abbiamo detto tutto. I. P. : Ecco, appunto. Vi sembra di aver detto tutto, ma.... G.: Se a distanza di 18 anni voi dite: la matrice era neofascista e basta... beh, bel modo di essete preveggenti... I.P.: La direzione del partito comunista, nel suo comuni- cato, non si è limitata a dire che la strage era fascista, ha messo sotto accusa la direzione politica del momento! Non è vero che avesse una visione idilliaca dei governi democri- stiani dell'epoca. D'altra parte, quando ha voluto giustizia, la Licia Pinelli si è rivolta a un avvocato comunista per far riaprire il caso. P.: Comunque, scusa, io ricordo benissimo i pellegrinaggi che abbiamo fatto dai rappresentanti dei partiti. Ci ritene- vano delle persone pericolose: giustamente, perché ci si muoveva come tre illusi, senza nessuna struttura, oscillando tra notizie che chissà da quali fonti venivano... certo! I.P.: Se tu vuoi che io ti dica che noi avevamo, e abbiamo, più fiducia nell'informazione che nella controinformazione, io te lo dico. Noi comunisti siamo stati presi in giro, per anni, perché la nostra richiesta era "fare luce". Mi ricordo che venivamo scambiati per dei "gasisti", o amenità di questo genere. Noi volevamo che l'inchiesta la facesse l'autorità giudiziaria, certo, perché chi altro? Insomma poi, quando è stata riaperta l'inchiesta dal procuratore generale Bianchi d'Espinosa ed è stata affidata a D'Ambrosio, c'è stata fiducia da parte di tutti, perché si trattava di un magistrato democratico... G.: Ibio, per arrivare a Bianchi d'Espinosa si è dovuto dimostrare prima che gli altri non erano affatto affidabili. Ovverossia che apparati, corpi separati dello stato, ecc. erano compromessi nella strategia della tensione, nella stra- ge, nelle bombe. E non c'erano soltanto di mezzo i neofasci- sti, Ibio. Perché, se tu mi vieni a tirar fuori come un vanto il fatto che il partito comunista italiano, di fronte a un episo- dio come quello delle bombe di Piazza Fontana, dice: sono stati i fascisti... beh, mi sembra proprio il minimo. F.F.: Dobbiamo però dire che in questo momento, se c'è qualche gruppo politico che sta seguendo la vicenda delle stragi, che sta mettendo a disposizione risorse, che sta operando spinte istituzionali, questo è solo il Pei. Pur con i limiti di plantigrado che ha un grande partito. G.G.M.: Mi pare ci sia qui, comunque, una nota positiva da constatare, che nel tempo si è ricomposta in qualche maniera una collaborazione di diversi settori della sinistra. C'è stato un primo contributo, secondo me decisivo, fonda- mentale, che è quello di questo libro. D'altra parte è stato giusto e necessario chiedere, come dicevi tu scherzosamen- te, da gasisti di fare luce, quindi non dare pace a queste istituzioni che sono una realtà complessa. E poi c'è un oggi che è quello che descriveva adesso Franco nel suo interven- to. Ho ora una domanda molto specifica che riguarda la vostra breve prefazione: perché c'è questa differenza, dicia- mo di tono, e di taglio politico anche, tra il contenuto dell'inchiesta (che appunto è un'inchiesta da giornalismo democratico, mettiamoci anche militante, se vogliamo) e — scusate, lo dico nella forma più provocatoria — questa prima paginetta, che io non condivido, che non condividevo neanche allora e l'ho detto, da "lo stato si abbatte e non si cambia"? G.: Posso rispondere con una domanda che faccio a P.: tu quando l'hai vista questa paginetta? A libro stampato! P.: È chiaro che il compromesso che si è realizzato nella ricerca e nella scrittura è stato un compromesso molto faticoso e difficile da ottenere. Perché c'erano istanze diver- se, c'erano istanze di movimento, e quindi anche da "lo stato si abbatte e non si cambia", istanze antiistituzionali; e c'erano istanze, viceversa, di altro genere. Queste cose in parte si sono tollerate perché si riteneva — almeno, io ritenevo — che comunque l'operazione, anche con alcuni aspetti, non condivisibili — aspetti di carattere ideologico che poco secondo me influivano sulla natura della inchiesta — fosse valida. G.: Diciamolo in un altro modo: quello che tu vedi scritto in corpo otto, una volta battuto sulla mia macchinetta Olivetti 32, è stato preso e mandato a Roma. Da quel momento in poi, a noi due almeno, la successiva lavorazione è sfuggita completamente di mano. Noi le note le abbiamo lette a libro stampato... G.G.M.: Anche questa è una verità storica che va ristabi- lita. P.: Il nostro lavoro è finito quando abbiamo spedito il manoscritto a Roma, diciamolo. G.G.M.: Io direi di chiudere a questo punto. Vi chiedo soltanto se, in riferimento alla discussione che abbiamo avuto, ciascuno di voi ha qualche osservazione da fare sull'oggi, su quanto abbiamo discusso e sul senso che ha riprendere questa discussione. P.: Per me ha avuto, diciamo la verità, due sensi. Perché in fondo io ero... io sono uno che ha creduto sempre molto nelle istituzioni, e nella necessità quindi di intervenire, di modificarle, di andarci dentro. Cioè di non assumerle come un'entità astratta. Da questo punto di vista, quella è stata una stagione nella quale in qualche modo abbiamo ritenuto — certamente, con un atto di presunzione, non c'è nessun dubbio su questo — di fare ciò che altri avrebbero dovuto fare, perché le strutture e gli organismi riprendessero a funzionare. I.P.: Credo che si possa dire che è senz'altro utile, interessante, anche a distanza di tanto tempo, parlare di qualche cosa che è stato più di un libro. E che è stato frutto di un impegno politico e civile di grandissimo valore e di grandissimo livello. La strage di stato non ha lasciato indiffe- renti i grandi partiti della sinistra; perlomeno non ha lascia- to indifferente il partito comunista italiano. Il fatto che per esempio nel libro figuri una dichiarazione di Alessandro Natta — allora non era segretario del partito, ma era pur sempre uno dei massimi dirigenti del partito — mi sembra che non abbia bisogno di commenti. Il libro peraltro è stato accolto nell'ambiente comunista e da "L'Unità" con rispet- to. Con rispetto critico, certo: noi ritenevamo, ripeto, e riteniamo ancora che l'informazione sia più importante della controinformazione. Ma non c'è dubbio che quest'ul- tima, in fondo, voleva anche essere di stimolo al funziona- mento delle istituzioni. Da questo punto di vista io dico: magari ritornasse una stagione come quella! F.F.: Senza le bombe, però! I.P.: Senza le bombe. Una stagione di così grande impe- gno. Per persone che come me hanno il privilegio amaro dell'età, se c'è un periodo che — con tutti i limiti, con tutti i difetti — ha segnato un impegno collettivo che io oggi non vedo più, devo dire che è quello. ' In Formidabili quegli anni (Rizzoli, 1988), Capanna indica i se- guenti giornalisti del Comitato: Filippo Abbiati, Bruno Ambrosi, Giorgio Bocca, Giampiero Borella, Luisa Castiglioni, Giancarlo De Bellis, Miriam De Cesco, Franco Fortini, Guido Gerosa, Gabriele Invernizzi, Emilia Martinelli, Laura e Morando Moran- dini, Guido Nozzoli, Aldo Palumbo, Franco Pierini, Claudio Risè, Marisa Rusconi, Eugenio Scalfari, Corrado Stajano, Bruno Ugolini, Massimo Vitali. Torino. 1° Salone del Libro. Premio per la copertina più bella. * Anche il testo vuole la sua parte.