N 9 r INDICE pag 5 ■■dei libri del mese Il Libro del Mese "Un libro nutriente" È raro il caso di un moderno sag- gio di storia letteraria o politica che meriti d'essere ristampato dopo cin- quantanni. Più raro il caso di questo saggio, che apparve a Parigi nel 1939 in traduzione francese e che appare ora per la prima volta, con poche varianti, nell'originaria stesura ita- liana. La premessa aggiunta dall'au- tore illustra l'intento e il successo del saggio, e in breve il seguito della ricerca sull'argomento. Quel che Franco Venturi ha fatto nel cinquan- tennio decorso, e quel che continua a fare, tutti sappiamo. Per motivi di limitata competenza e di illimitata parzialità amichevole lascio ad altri un giudizio complessivo. Di questo suo libro giovanile, di lui venticin- quenne, parlo volentieri, perché è testimonianza applicabile alla storia di una generazione che anche, anni più, è stata mia. Il libro apparve nel 1939, dedicato alla memoria di Carlo Rosselli, assas- sinato in Francia due anni prima. La vendetta dell'assassinio è stata com- pito della generazione nostra. Nel '24 eravamo troppo giovani: la ven- detta di Matteotti era toccata ad al- tri. Nel '37, in Spagna, mercenari fascisti e fuorusciti italiani si erano trovati a combattere gli uni contro gli altri. Era stato l'inizio della guer- ra civile. Nel '38, in Italia, saltò fuori la questione della razza; e fu, anche per quelli che, come Venturi, non fossero direttamente colpiti, la con- ferma della inevitabilità di una guer- ra civile senza quartiere. Questo, nel '39, essendo imminente la seconda grande guerra, il significato della de- dica a Rosselli di un libro pubblicato in francese a Parigi da un giovane fuoruscito italiano, che già aveva combattuto in Spagna e che avrebbe poi combattuto in Piemonte contro gli stessi nemici sotto la stessa inse- gna di Giustizia e Libertà. Ma la vendetta non bastava: non sarebbe bastata mai, come oggi sap- piamo. Né la guerra in qualunque sua forma. Né quell'insegna: non la li- bertà; men che mai, come oggi sap- piamo, la giustizia. Ci voleva, fonda- mento di una convivenza civile, la libera e giusta ricerca della verità. Questo, nel '39, il significato del libro: libro di uno storico autentico, non di un politico travestito. Nella premessa alla nuova edizione Ventu- ri ha ricordato la recensione, splendi- da per intelligenza e per coraggio, che Omodeo gli dedicò nella Critica del settembre 1939. Ma anche, giu- stamente, ha ricordato il successo che 0 libro subito ebbe in Francia. Questo il giudizio di Lucien Febvre: "C'est le travail d'un homme vivant sur le porteur d'idées vivantes... c'est un livre nourissant". Non si poteva dire meglio: vital nutrimento si sarebbe detto nella lingua di Dan- te. Era un libro nutriente, perché prodotto da una ricerca eccezional- mente ampia e attenta su tutta la cultura francese del primo e medio Settecento. Ne stupivano i recensori francesi. Era già allora, al suo esordio, il Venturi del dopoguerra e di oggi, impaziente dei semplici e comodi iti- nerari raccomandati dal turismo sto- rico, ricercatore infaticabile e insa- ziabile di vie nuove, di testi e docu- menti editi e inediti, di episodi e di uomini dimenticati. Noto che già al- lora maneggiava abilmente e con vantaggio un'arma, che sarebbe poi sempre stata tipicamente sua, lo spo- glio sistematico dei periodici. Al- l'ampiezza della ricerca di fondo cor- rispondeva, e a prima vista si oppo- neva, il taglio di un'interpretazione ristretta alla sola giovinezza di Dide- rot. Ne risultava lo scarto dell'imma- gine conclusiva e tradizionale, del Diderot enciclopedico, e la proposta invece di un autore che ancora cerca e costruisce se stesso e districa le idee sue dalle altrui, con la veemenza e l'incertezza e inquietudine che sono proprie della giovinezza. Non dun- que una monografia a tutto tondo, di di Carlo Dionisotti con Rousseau, col decisivo incontro e scontro dei due, e invece prescin- desse, appena prefigurandolo in se- condo piano, nello sfondo, dal sodale enciclopedico D'Alembert. L'insi- stenza sulla preistoria entusiastica e appassionata dell'Enciclopedia indi- rizzata al poi, al successo altrettale, rivoluzionario, dell'impresa, a un si- stema di nozioni, di parole stampate, postumo Vico. Il prurito è un fasti- dioso e vergognoso malanno: non fa storia. Anche, e per analoghi motivi, segnalo in questo giovanile saggio di Venturi la prudente interpretazione del materialismo settecentesco, il ri- conoscimento della sottostante e concorrente questione religiosa e di marginali ma non trascurabili devia- zioni verso l'irrazionale magico e set- perché il ' 'gros bénédictin "fa parte dei lumi e al tempo stesso li contraddice. Nei suoi testi c'è un pensiero filosofico, un sistema metafisico che si situa in qualche modo tra l'ateismo e il pantei- smo. D'altra parte dom Deschamps procede ad una critica sociale attaccando la proprietà priva- ta e il progresso come fonte di tutti i mali dell'umanità. Si direbbe dunque che dom De- schamps sia al tempo stesso in anticipo e in ritardo rispetto ai philosophes. Per questo un Diderot poteva riconoscersi nel suo sogno socia- le, pur mantenendo le distanze. Per dirlo altri- menti, dom Deschamps rappresenta un aspetto paradossale del pensiero dei lumi e al tempo stesso lo illumina in speciale maniera. Per uno storico delle idee non c'è forse nulla di più interessante di un pensiero che contraddice il luogo comune, perché un tale pensiero lo costringe a rimettersi in causa. Non è un caso che sia stato proprio Franco Venturi a scoprire un tale pensatore. quelle che, di mano in mano, cresciu- te di peso e gonfie fra Otto e Nove- cento, smagrite poi dalla cura ideali- stica e crociana, erano allora norma- li, e in cui il moderno studioso faceva da padrone e da giudice e sopravvi- veva soddisfatto alla defunzione cri- tica dell'autore monografato e di ogni precedente monografo. In que- sto saggio sulla giovinezza di Dide- rot, il giovane studioso italiano, con- teso agli studi da impegni politici, rispecchiava e rasserenava e miglio- rava se stesso nella ricerca. Il taglio cronologico, escludendo il momento della maturità vittoriosa e di una magistrale certezza, dava ri- salto al momento anteriore, origina- rio, della passione, dell'entusiasmo, della protesta e della sfida, dello scandaloso innesto inglese sul tronco francese. Inseparabile l'innesto da quello sperimentato già, nella prece- dente generazione, da Voltaire, ma diverso il modo e il frutto. E signifi- cativo, se anche fosse prevedibile, che questa giovinezza di Diderot si concludesse, nell'ultimo capitolo, che finalmente si risolve in un prepo- tente flusso di eventi. Ma l'indirizzo è implicito: non c'è l'antistorica so- praffazione di un futuro auspicato o detestato, propria dei politici che vendicano sul passato gl'insuccessi del presente. C'era, nel saggio di Venturi, e ancora c'è dopo cinquan- tanni, il vitale nutrimento della sto- ria. Vorrei segnalare un punto vicino alla mia informazione di letterato italiano: l'esauriente digressione nel cap. Vili sulla questione della lingua nel Settecento e la riserva (p. 205), subito onestamente rilevata da Omo- deo nella sua recensione, sulla con- danna senza appello pronunciata a quel proposito da Croce. Segnalo la digressione e la motivata e misurata riserva ai recenti preconi della lingui- stica settecentesca, nei quali prevale, sulla conoscenza dei testi, un ostina- to prurito anticrociano. I testi smen- tiscono una storia linguistica e lette- raria, secondo la quale un'Europa involta nelle tenebre sarebbe stata a un tratto illuminata da Herder e dal tario. Valga ad esempio questo moni- to: "Fare, come tanti fanno, la storia delle idee del XVIII secolo sulla na- tura seguendo passo passo l'affer- marsi di una concezione puramente scientifica e sperimentale in opposi- zione ad inutili e dannose fantasti- cherie, è un rischiare di lasciar fuori proprio quello che si può allora tro- vare di originale nel dominio del pen- siero" (p. 132). E quest'altro: "biso- gna tener presente che ancora intor- no agli anni 1750 in Francia le dispu- te di carattere non solo religioso, ma dogmatico, avevano una vigoria ed una violenza che si tende ora a svalu- tare eccessivamente" (p. 169). E a questo proposito, contro la tenden- za, che anche in Italia ha avuto fortu- na, di aggregare i giansenisti al parti- to dell'opposizione e della riforma laica, il tempestivo monito che "at- taccare i giansenisti, magari in colle- gamento con il potere governativo, resterà la politica costante degli enci- clopedisti" (p. 193). Insomma era, come di regola è in età di grande fervore intellettuale, una situazione a prima vista confusa e contraddittoria, che lo storico non poteva né doveva semplificare a suo comodo: doveva riconoscere e defi- nire com'è. Distinguendo, anche do- veva giudicare. Quale, in tanta varie- tà di esperimenti, la linea maestra, il contributo importante del giovane Diderot? "Due degli elementi essen- ziali del Settecento trovarono nella concezione di Diderot una forma fi- losofica e pratica piena di efficacia storica. Il ritorno alla natura, per- meato di bisogni quietistici, trovava nell'idea della giovinezza del mondo, nel richiamo alla gioventù, un legame con lo sforzo pratico e scientifico dell'umanità. L'idea di progresso perdeva l'astrazione che ancora ave- va avuto nella polemica degli antichi e dei moderni per legarsi alla natura e ai bisogni più profondi e pratici del- l'uomo" (p. 274). Superfluo rilevare in questo passo la frequenza dell'ag- gettivo pratico. Pare a me che il giovane Venturi, d'accordo con le sue origini italiane, ancora fosse incline a reverire la teo- ria: certo più incline di quanto sia stato poi, nella sua maturità. Ma mi rallegra che già allora, in questo sag- gio su Diderot, a seguito e a fronte della cultura francese e inglese di quell'età, egli avesse scelto per sé la via della pratica, che anche è la via della storia. Bisogna, concludendo, tornare al punto di partenza, alla pubblicazione del saggio nel 1939, alla dedica, alla guerra di Spagna, all'Asse, alla razza, alla guerra totale. Anche si perdeva a quel punto nel buio la via maestra della moderna cultura italiana. La grande stagione della storiografia crociana si era chiusa nel 1932 con la Storia d'Euro- pa. Sopravviveva la teoria della sto- ria. Gli eredi e successori, Omodeo, Chabod, Cantimori, Momigliano, cercavano nel buio e finalmente avrebbero trovato altre vie. Ma fu una cerca lunga e travagliosa. Tutti erano partiti da premesse idealisti- che, dall'idealismo italiano di Croce e Gentile, e tre su quattro avevano perfezionato l'arte loro nella scuola tedesca. Il solo Omodeo, più anziano e isolato, poteva fare assegnamento sulla gelosa autonomia della tradizio- ne siciliana. Ma l'autonomia non ba- stava in quel momento, e resta signi- ficativo che, rivolgendosi al Risorgi- mento italiano e conseguentemente alla Francia, Omodeo finisse col pre- scegliere la Francia della Restaura- zione. Altra scelta s'imponeva nel 1939: cosi nel campo della cultura come in quello della politica e della guerra. Bisognava scegliere fra un'improbabile e detestabile Europa italo-tedesca, mostruoso miscuglio di classicismo letterario e di romantici- smo filosofico, e l'autentica, inter- media Europa anglo-francese del Settecento, l'Europa dei Lumi, del- l'Enciclopedia e della Rivoluzione, comprensiva anche, per tutto l'Otto- cento, della nuova Italia. Il giovane Venturi aveva fatto, anche come sto- rico, la sua scelta. Oggi sappiamo tutti che la scelta era giusta.