N LINDICF ■■dei libri delmeseBH Tra i moderni di Maria Mimita Lamberti Meyer schapiro, L'arte moder- na, Einaudi, Torino 1986, prefa- zione di Cesare Segre, ed. orig. 1978, trad. dall'inglese di Renato Pedio, pp. 300, 105 ili., Lit. 50.000. Se il grande pubblico dimostra un crescente interesse per le manife- stazioni ed i protagonisti dell'arte moderna, a questa domanda fa fron- te una sostanziale sordità per il pro- blema dell'informazione, abbando- nata alle famigerate introduzioni ai cataloghi di mostre e mostricine, in cui la scrittura dei critici può libera- mente dare sfogo a estri e velleità sempre soggettivi, raramente fonda- ti, spesso verbosamente fumosi, mentre l'apparato accademico si irri- gidisce nei confronti dell'intrusione del contemporaneo, negando dignità a quella che è considerata una non- disciplina (tant'è che secondo i para- metri ministeriali l'arte moderna do- vrebbe finire alla data fatidica del 1789, e da lì in poi inizierebbero le paludi dell'arte contemporanea). Tra le caligini di questo sconfor- tante panorama italico, ecco final- mente la traduzione dei saggi di Meyer Schapiro, attesa da anni, a di- mostrare che se uno storico dell'arte sa e vuole occuparsi del moderno i risultati non mancano, anzi possono innestarsi e competere degnamente per qualità con gli studi più rigorosi dedicati a settori artistici di piena le- gittimazione (questi scritti di Schapi- ro sull'arte moderna non cedono di un'unghia rispetto a quelli, già cele- bri, dello specialista di scultura ro- manica — editi sempre da Einaudi nel 1982). E dove la competenza e l'acume della raccolta molto devono all'eccellenza della personalità di Schapiro, certo uno dei massimi sto- rici dell'arte oggi viventi (è nato nel 1904), la flessibilità del metodo e l'at- tenzione partecipe all'oggetto di stu- dio innervano l'impeccabile analisi interna delle opere su cui si fonda concretamente ogni successivo nesso di interrelazione. Nel 1960, nel sag- gio Sulla dimensione umana della pit- tura astratta, Schapiro affermava che "in arte non si danno regole per la scoperta di ciò che vale: va scoperto attraverso la ripetuta visione e la se- ria valutazione dell'opera, sapendo correre il rischio dell'errore" (p. 244). Da qui l'umiltà e la pazienza del l'approccio, esemplare nella confe- renza del 1978 su Mondrian che chiude il volume, in cui la lettura di quadri famosi come la Composizione in bianco e nero del 1926 o il Broa- dway Boogie-Woogie è condotta con un'analiticità che si fa altissima peda- gogia, unendo il pragmatismo di scuola anglosassone alla sottigliezza talmudica che è una delle compo- nenti di base dell'atteggiamento mentale di Schapiro. Studioso del re- sto di grande ricchezza e curiosità, ma temperate da un invidiabile equi- librio che gli permette di utilizzare strumenti affilati e pericolosi, senza mai snaturare la centralità del pro- prio tema disciplinare. Né il discor- so di Schapiro rinuncia, per questa fedeltà alla concretezza fenomenica dell'opera d'arte (mai posta come un feticcio se i quadri sono, in una sua felice battuta, definiti "gli oggetti ar- tigianali di materiale povero più co- stosi del mondo"), a spaziare dal da- to singolo a problemi di ampio re- spiro, collocando i singoli oggetti dentro la storia creativa del pittore, in relazione dialettica con il suo tem- po, per tracciare poi con sicurezza percorsi in cui i campi e i problemi della storia dell'arte diventano mo- menti portanti di un giudizio storico e morale di evidente impegno. Questo coraggio di pensare in grande viene a Schapiro dalla sua formazione europea, sulle tracce del- la scuola di Vienna, ma senza inci- denze metafisiche né schematismi che sacrifichino alla tesi l'indagine sul campo, come spesso, e soprattut- to nel contemporaneo, avviene con l'uso indiscriminato di etichette e ri- correndo a quello che l'autore chia- ma "il linguaggio degli assoluti". Contro la teoria dell'esaurimento e della reazione, applicata da Barr al- stili vengono fatti rientrare nella perpetua alternanza delle generazio- ni, ciascuna delle quali reagirebbe ai genitori ritornando al mondo dei nonni, secondo il "principio del nonno" adottato da certi storici te- deschi dell'arte", (p. 203) D'altra parte Schapiro non assume il tono di chi si cali nel contempora- neo dalle certezze apodittiche di una più nobile cattedra universitaria: il linguaggio è alto per la dignità dei metodi e dei risultati raggiunti, ma il percorso del ragionamento e l'atteg- giamento stesso dello storico sono ìntimamente partecipi alla discussio- ne in corso. Gli oggetti d'indagine di Schapiro infatti sono tutti interni agli interessi e alla passione del criti- to della natura morta, del 1968 e il già citato Mondrian. Ordine e casuali- tà nella pittura astratta, del 1978) so- no non solo i saggi più recenti, ma anche quelli di maggiore elaborazio- ne. Di qui una possibile lettura della raccolta in una sequenza tutta ribal- tata in primo piano che, a prescinde- re dai quarantanni di studio di cui è 10 specchio, propone al lettore l'im- patto con un percorso che partendo da Cézanne, tocca Van Gggh, Seu- rat, Picasso, Chagall e termina, dopo 11 precedente storico dell'Armory Show, con quattro saggi sull'astratti- smo sino all'esame finale di Mon- drian. Che questo sia l'intendimento di Schapiro è chiaro e certo legitti- mo, se al lettore si vuole suggerire Arte e società a Bisanzio di Carlo Bertelli Anthony Cutler, John W. Nesbitt, L'arte bizantina e il suo pubblico, trad. dall'inglese di Silvia Martinotti Giannetti, Utet, Torino 1986, voli. 2, pp. 419, Lit. 120.000 Anthony Cutler, londinese, cinquantenne, ma da tempo negli Stati Uniti, è autore di im- portanti contributi allo studio dell'arte bizanti- na, sui cosiddetti Salteri aristocratici, per esem- pio, e sui problemi dell'iconografia bizantina in generale; il secondo autore è alquanto più giova- ne e si è occupato da molto tempo di un argo- mento assai specifico: la sfragistica bizantina. Insieme hanno costruito un libro che rappresen- ta una novità non soltanto per il pubblico ita- liano e che è nato da una solida conoscenza diretta dei monumenti, oltreché essere il prodot- to delle discussioni più vive fra i bizantinologi da Monaco all'Inghilterra a Dumbarton Oaks. Il titolo rammenta quello di un'opera stimolan- te di Hans Belting Das illuminierte Buch in der spatbyzantinischen Gesellschaft (1970), ma cerca di estendere il criterio interpretativo dell'arte bizantina attraverso l'analisi delle ten- denze espresse dai committenti e dai fruitori su tutto l'arco di tempo da Giustiniano alla cadu- ta dell'impero. La scelta dei due autori risponde ad una effettiva crisi della ricerca nell'arte bizantina, dovuta alla constatazione di non poter spingere oltre le deduzioni cronologico-stilistiche senza cadere in aperte contraddizioni. Inoltre i due autori sono persuasi che anche la più esatta con- clusione cronologica su basi stilistiche avrebbe scarse conseguenze storiografiche in una situa- zione di voluta staticità formale, dove invece hanno assai maggiore interesse le connessioni storiche reali. Ciò comporta una rimessa in di- •i, - - . • - -. • .L.Cr.Mrm'M..: _ si . ^ ,_JE 1 >»--'- l'astrattismo classico, rispetto al na- turalismo, ed ai pittori successivi alla prima fase astratta per il ritorno alla rappresentazione Schapiro era infat- ti, già nel 1937, molto reciso: "la ra- dicalità per quanto profonda del cambiamento non autorizza a inter- pretare un'arte nuova come mera reazione, o se si preferisce conse- guenza necessaria, all'esaurimento di quella precedente... La teoria dell'e- saurimento e della reazione è inade- guata non soltanto perché riduce l'a- gire umano a semplice meccanismo, come quello del rimbalzo di una pal- la, ma anche perché, trascurando forze e condizionamenti in campo, non spiega neppure il funzionamen- to della propria limitata concezione meccanicistica. Lo schema azione- reazione ha un carattere artificiale: appartiene più alle polemiche fra le varie scuole pittoriche e agli schemi astratti degli storici che non al reale processo storico. E per dotare di un qualche motore questa storia degli stili improntata alla fìsica, che per altro si vuole non meccanicistica^gli co (che pure critico militante non diviene mai, anche trattando di un pittore amico e affine come Arshile Gorky) e, se si bada alle date, le scel- te e i silenzi divengono significativi. Così ad esempio nella stagione ame- ricana dell'espressionismo astratto è il silenzio a prendere le distanze dal- la passione statunitense per il surrea- lismo, che lasciava tracce tanto evi- denti nell'ordinamento stesso dei musei newyorkesi di arte contempo- ranea. O nella nota introduttiva l'au- tore osserva oggi di non riconoscersi che in parte nelle tesi del saggio del 1937 sull'arte astratta, probabilmen- te per le sottolineature politiche or- mai datate, ma che per quegli anni testimoniano invece un appassiona- to coinvolgimento di Schapiro nel dibattito fra gli intellettuali della si- nistra americana. È, questo delle date, un aspetto che l'accorpamento dei saggi in volume tende a sfumare: la raccolta ha, per così dire, una struttura a polittico in cui il primo e l'ultimo articolo (Le mele ai Cézanne. Saggio sul significa- un'attenzione costante al racconto in una progressione lineare di crono- logia interna al discorso dei pittori e dell'arte, dal realismo ottocentesco alla stagione astratta. Ma per apprez- zare al meglio la sorprendente mo- dernità del discorso di Schapiro si può suggerire anche una seconda let- tura, scomponendo il palinsensto e rileggendo gli articoli uno per uno nell'ordine effettivo in cui l'autore li rese pubblici. Una seconda lettura, in ogni caso, a cui si sarà certo libera- mente dedicato il lettore appena un f>o' avvertito, trovando in vari saggi 'apparire di alcuni suggestivi Leit- motiven, come il primitivismo o il tema affascinante della natura morta come genere e della sua rivisitazione più polemica e sofferta in Courbet, Van Gogh, Cézanne o nei cubisti. Solo seguendo l'effettivo percorso cronologico della stesura dei diversi temi è possibile apprezzare il contri- buto di innovazione e l'impulso che da essi è venuto alla ricerca sull'arte moderna: cosi senza un saggio straordinario come quello del 1941 su Courbet e il repertorio delle imma- gini popolari. Saggi sul realismo e la naiveté, non si sarebbe aperto il cam- po agli studi, una generazione più tardi, di Linda Nochlin e T.J. Clark, mentre l'analisi del 1946 sui cieli stellati di Van Gogh, pagato un mar- ginale debito con l'iconologia apoca- littica (che del resto in quegli anni non era certo una referenza consue- ta), torna proprio in questi ultimi mesi di attualità nella querelle tra Al- bert Boime e lo scienziato Whitney sulle coordinate astronomiche di quelle rappresentazioni e la lettura dei testi divulgativi di Flammarion da parte del pittore franco-olandese. Anche nel saggio del 1956 su Le illu- strazioni della Bibbia di Chagall, la filologia del testo biblico, cui per ra- gioni di educazione e cultura Schapi- ro è puntuale chiosatore, è corrobo- rata da una lettura esemplare delle ragioni espressive di Chagall, che niente ha da invidiare all'analisi de- gli illustratori alto-medievali dei li- bri sacri proposta dallo stesso Scha- piro in un altro più smilzo ma pon- deroso volumetto da poco traciotto in italiano (Parole e immagini. La let- tera e il simbolo nell'illustrazione di un testo, Pratiche, Parma 1985). Ma la ricchezza dei temi e degli spunti di riflessione sottende una trama di riferimenti, e di piacevoli sorprese, inesauribile: e se si segnala la straordinaria finezza di interpreta- zione per Seurat, dove il discorso cri- tico spazia con agilità dal dato mo- dernista della Tour Eiffel (come struttura simbolica della razionalità) alla citazione della classicità di Puvis de Chavannes (un nome ignoto ai più nel 1958, quando Schapiro scri- veva questo saggio), la predilezione del critico per la grafica seuratiana, di un lirismo apparentemente in contraddizione con il meccanismo della tecnica cromatica, anticipa il ri- conoscimento della completezza in- trinseca del disegno con cui si apre lo scritto su Cézanne acquarellista (p. 49). L'entusiasmo per le possibilità di innovazione creativa e per la li- bertà delle invenzioni permea l'arti- colo, del 1976, su Picasso, dove la fisicità del fare pittorico, il suo di- pendere dalle capacità del corpo (il vedere dell'occhio e il fare della ma- no) si colora come un neosettecente- sco elogio al materialismo; ma, al tempo stesso, l'agire dell'artista, fuo- ri dalle convenzioni del suo mito so- ciale, conserva un carattere demo- niaco, nel valore etimologico del ter- mine, se il fare pittura comporta una totale catarsi, come testimoniano a Schapiro le lettere e le coordinate spaziali dei quadri di Van Gogh, in cui davvero la fisicità del dipingere si fa corpo (e da questa originale utiliz- zazione dell'Einfùblung se fosse sta- ta letta e capita a tempo debito, quante più tarde scoperte di ripetiti- vi seguaci della body art ci sarebbero state risparmiate). Non resta che augurare a questo libro tutte le fortune possibili, den- tro e fuori delle aule universitarie: ne trarremo giovamento tutti, storici dell'arte antica e moderna, critici, ar- tisti e pubblico, né la lettura è, per quanto alta, tale da scoraggiare un lettore di media cultura, se davvero ha interesse per questi problemi. Unico intoppo per i non anglofoni sarà alla pag. 205 l'imbattersi in un ciclo del tutto ignoto di Claude Mo- net dedicato ai Gigli d'acqua (e pun- tualmente registrato come tale nel- l'indice dei nomi); non compulsi re- pertori in cerca di una qualche priva- tissima collezione né favoleggi di nuove tele, ma si tranquillizzi accan- tonando la suggestione preraffaellita dei Waterlilies per la più ovvia tradu- zione botanica: sono le stranote Nin- fee (a cui da poco Basilea ha dedicato una mostra straordinaria).