L'INDICE ■■dei libri del meseBH pag. 21 La Fabbrica del Libro_ Autori e titoliy consumi, bisogni di Giovanni Peresson Cristina Benussi, Giulio Lu- ghi, Il romanzo d'esordio tra im- maginario e mercato, Marsilio, Venezia 1986, pp. 201, Lit. 20.000. Marino Livolsi (a cura di), Al- meno un libro. Gli italiani che (non) leggono, La Nuova Italia, Firenze 1986, pp.149, Lit. 10.000 Un efficiente accesso e monitorag- gio del mercato rappresenta per la casa editrice la principale chiave stra- tegica di successo. Il rafforzamento, il miglioramento o la conservazione degli spazi in libreria, più in generale delle relative quote di mercato, è nel breve, medio periodo legato a scelte innovative sul piano commerciale e di marketing. In uno degli annuali rapporti sullo "stato dell'editoria", quello compila- to a cura dell'istituto di ricerche Da- tabank, là dove vengono indicati i "fattori chiave" di successo nelle di- verse aree d'affari in cui operano le aziende editrici — quello di Narrati- va e Saggistica, di Varia, lo Scolastico e le Grandi Opere — l'innovazione di prodotto, la capacità cioè dell'edi- tore di individuare e proporre al pubblico dei lettori, titoli e opere in grado di stimolare e soddisfare nuovi e ancora inespressi bisogni di lettura, vengono valutati in chiave proiettiva solo come "fattori importanti", cer- to da non trascurare da parte dell'e- ditore, ma senza con questo rappre- sentare, a eccezione di Narrativa e Saggistica, elementi chiave; strategici appunto. Insomma per la casa editrice i prin- cipali fattori di successo risiedereb- bero in una migliore gestione del ma- gazzino e delle rese, in una maggiore presenza, e quindi visibilità, sul pun- to vendita, in un controllo più atten- to delle tirature o nella "promotion" verso decisori d'acquisto. E solo nel segmento d'affari Narrativa e Saggi- stica che T"innovazione di prodot- to" rappresenta uno, ma solo uno, dei fattori di successo, che entrereb- be in gioco, per così dire, all'interno di un mix ai variabili al momento dell'individuazione di aree mercato non ancora coperte da prodotti edi- toriali concorrenti. Se andiamo a esaminare la compo- sizione dei titoli pubblicati per tipo di edizione, vediamo che nel '76 le prime edizioni rappresentavano il 46,7 per cento dei titoli, ma che nel 1985 hanno raggiunto il 59,4 (in altri 'macrogeneri', ma il confronto è con T84, abbiamo per la Narrativa il pas- saggio dal 46,4 al 68,0 per cento; per la Saggistica dal 59 al 70 per cento). Insomma il mercato viene sempre più ad esser fatto da prime edizioni. L'aumento delle novità a discapito delle ristampe, se è il risultato della possibilità ai sfruttare l'impatto che un nuovo titolo, o un nuovo autore, ha in libreria, è stato anche indotto dalla necessità di andare incontro ai nuovi e differenziati bisogni di lettu- ra che si sono venuti a creare in quel- la che il Censis ha definito la "società del segmento". Ma in un mercato sempre più occupato da prime edi- zioni, l'approvvigionamento di nuo- vi testi, la ricerca di nuovi autori, diventa per il complesso dell'indu- stria editoriale un momento che non può più esser gestito indipendente- mente da quelli che sono i nuovi pro- fili, i nuovi assetti del consumo. O rimane possibile solo in quel seg- mento d'offerta che si definisce co- me "letteratura sperimentale". Le forme assunte dai mutamenti socioculturali avvenuti in questa pri- ma metà degli anni '80, non poteva- no non avere delle ripercussioni nel consumo, e quindi nella produzione di titoli. Ai mutamenti negli stili di vita, alle turbolenze di valori hanno corrisposto, e corrisponderanno sempre più, il sorgere di specifici bi- sogni di lettura: di evasione, ma an- che di formazione e di aggiornamen- to professionale (si pensi allo svilup- po dell'editoria informatica o della manualistica economica). Avremo sempre più libri mirati, per nicchie di lettura specifiche e omogenee. Ma si avrà, per questo, sempre più neces- sità di "autori"; in ogni caso di pro- fessionalità capaci, in una società dai rapidi cambiamenti nei suoi assetti di valore e di consumo, di individuare nuovi prodotti capaci di incrociare i mutevoli bisogni di lettura nel mer- cato dei potenziali lettori. A questo si aggiunge il dato — ce lo fornisce Giorgio Grossi nel Libro di successo, contenuto nel volume cura- to da Livolsi — secondo cui se T'of- ferta (e quindi la politica editoriale) [...] tende a privilegiare leggermente l'opera straniera, [...] il consumo premia [i titoli d'] autore italiano", la cui quota di mercato passa, tra '82 e '84, dal 53,8 al 58,1 per cento (p.73). E questo mentre il mode in Italy, anche in campo editoriale, sembra trovare un suo spazio nei mercati internazionali. Su un campione (li- mitato) di case editrici, tra '85 e pri- mo semestre '86, si registra un evi- dente incremento nella vendita di di- ritti: Adelphi da 5 a 7; Garzanti 50 e 46; Laterza 59 e 32; Longanesi 4 e 3; Marietti da 5 a 7; Mondadori 72 e 41; Rizzoli da 21 a 24. Possibilità che si offrono al mode in Italy, ma soprat- tutto una crescente articolazione dei consumi che induce in alcuni seg- menti d'offerta, a una omologa diffe- renziazione delle politiche di ap- provvigionamento di software edito- riale. Così, nel settore della saggistica leggera femminile si è sviluppata ne- gli ultimi anni una produzione di manualistica indigena (Bon Ton, Gli uomini istruzioni per l'uso, Arte del flirt, Uomo come ti vorrei), che oltre a ottenere buoni risultati commer- ciali consente all'editore di spendere meno d'anticipo nei diritti. Ma che non impedisce, in una politica d'au- tore certamente più articolata, l'ac- quisto di analoghi prodotti editoria- li, quelli firmati Jane Fonda o Sidney Rome. La crescente capacità di giocare su più tavoli anche nell'approvvigiona- mento di testi e d'autori, in qualche modo corrispondente all'aumentata complessità della società italiana, in- veste, e non potrebbe essere altri- menti, la stessa area d'affari della Narrativa contemporanea dove assi- stiamo, all'interno dei diversi seg- menti che la compongono, a politi- che d'autore ben più articolate. Così, se l'editoria italiana continua ad esse- re dipendente dal mercato nord-ame- ricano per l'approvvigionamento di narrativa femminile, non mancano anche a livello di produzione seriale — almeno nelle collane Bluemoon — narratrici italiane che pur dietro pseudonimo straniero vengono af- fiancate dalla Curdo alle autrici stra- niere. Oppure, in un altro dei settori di- pendenti da un approvvigionamento di serialità narrativa da mercati nord- americani, quello delle spy story, le non molte volte in cui a partire dal- 1*84 in Segretissimo sono stati pubbli- cati romanzi d'autore italiano (come A volo di Falco, Una fame da Falco di Santini, Singapore di Remo Guerri- ni), la vendita è risultata di alcune migliaia di copie superiore alla ven- dita media per titolo (A volo di Falco, 311 mila copie contro le 28 di media per Segretissimo di quel periodo). E il rapporto tra autore e redazione ap- pare senz'altro diverso da come si configura in altri segmenti della più ampia area d'affari dalla Narrativa italiana: "Quando ho portato in vi- sione alla redazione le prime 30 car- telle di Singapore, — spiega Remo Guerrini, — la critica è stata che il mio Walfrido appariva troppo ases- suato. E di comune accordo abbiamo introdotto nella trama un paio di in- contri galanti". Certo si tratta poi di chiedersi quanto conta questa mag- giore attenzione a un gusto più "sma- liziato" del pubblico dei lettori, la conoscenza e la valutazione della giusta dose di erotismo da inserire nel mix narrativo, per far vendere un numero di copie almeno pari a quella di più affermati colleghi stranieri. Ma è sul segmento rappresentato dalla Narrativa contemporanea d'au- tore italiano che continua a concen- trarsi la riflessione sul rapporto tra autore e apparati editoriali. Detto su- bito che l'indagine condotta da Cri- stina Benussi e Giulio Lugli su un Opo di romanzieri "esordienti" (i isti del Premio Viareggio Opera Prima) rappresenta uno specimen del "romanzo alto, letterario, d'autore" (p. 11), uno dei risultati che in questa prospettiva acquista una sua partico- lare evidenza, è rappresentato dal fat- to che il "collegamento", durante la stesura del romanzo, tra autore e ca- sa editrice entra in funzione sola- mente "in qualche caso isolato". Piuttosto "entra in gioco a opera fi- nita": ben il 41,5 per cento degli au- tori afferma di non essersi rivolto a nessuno per chiedere consigli (pp. 83-85), il 25,6 di averne chiesti o ac- cettati solo a stesura ultimata. Ma suggerimenti e consigli che proven- gono — cosi si dichiara — in larga misura (42,6 per cento) da persone e zone lontane da ogni professionalità editoriale, costituite come sono da amici e familiari. Solo nel 7,5 per cento dei casi si afferma di essersi rivolti, per consigli e suggerimenti, a settori in qualche modo professiona- lizzati della casa editrice. Queste risposte si possono anche leggere assumendo non più come punto d'osservazione l'autore nei suoi rapporti con la casa editrice, bensì quest'ultima nel suo rapporto con l'autore. Trovare, per esempio, che in neppure il 3 per cento dei casi il romanzo nasce da una operazione di editing, e sempre in "casi in cui l'autore aveva già rapporti di colla- borazione già ampiamente collauda- ti con la casa editrice" (p. 123), oppu- re che nel 12,5 per cento il testo nar- rativo nasce da una sollecitazione in qualche modo proveniente dall'edi- tore, ci dice molto sugli autori, ma forse altrettanto sui meccanismi in- terni di funzionamento della casa editrice. Come merita qualche rifles- sione lo scarto tra un 60 per cento di risposte, in cui si ammette che il ro- manzo è stato pubblicato dalla prima casa editrice contattata — quando nella quasi totalità dei casi (l'80,5 per cento) il narratore "esordiente" di- chiara di esser già conosciuto nel mondo editoriale — e alcuni dei mo- tivi addotti nella scelta della sigla edi- toriale con cui pubblicare: appena il 3,8 per cento afferma di aver attuato la scelta in base alla capacità dell'edi- tore di distribuire il libro, il 7,5 per il prestigio della casa editrice (p. 115). Quello che ricostruiamo attraver- so Il romanzo d'esordio è solo una par- te del rapporto tra autore e industria editoriale: uno scenario che se mai può farci chiedere se tra un mercato della narrativa contemporanea d'au- tore italiano, che rappresenta ormai solo il 37 per cento del mercato dei "libri di successo" (almeno 2 mila co- pie vendute nell'anno), contro il 63 di narratori stranieri, e un rapporto tra autore ed editore che passa sopra, che scavalca i nuovi bisogni di lettura e di evasione del pubblico (ben più soddi- sfatti da prodotti stranieri), non esi- sta qualche connessione. In ogni caso un'area d'affari da servire ormai su linee d'approvvigionamento, e quin- di di rapporto tra casa editrice e auto- re, ben più articolate e capaci non so- lo di dare risposta al giusto riconosci- mento all'"Italia degli scriventi" ("Presentazione"al Premio Inedito L'Espresso. Icinque racconti che hanno vinto, suppl. al n. del 31 maggio 1987, p. 5), ma anche ai nuovi assetti del consumo di narrativa. insegnamento in coppia con Jaroslav Pelikan. Sento, implicita nelle tue risposte, l'urgenza di parlare dei problemi ideologici. Qui mi muovo nei miei apprezzamenti tra la critica americana e quella italiana. Con- sidero Kenneth Burke il maestro della critica letteraria americana. Già in lui c'è un'atten- zione acuta e anticonformistica sia all'aspetto critico-materialistico della lettura dei testi, sia all'aspetto religioso: vorrei usare, per evitare equivoci confessionali, il termine numinoso. Nella critica americana è forte e positivo — sottolineo positivo — il rapporto con matrici ideologiche di chiara coloritura religiosa. Ci sono i critici che hanno un senso della loro tradizione ebraica; quelli che hanno un senso altrettanto forte della loro tradizione cristia- na, polisemica, secondo i cento riti diversi; quelli che hanno un senso non dico missiona- rio, ma certo l'impegno in una religiosità lai- ca marxista che a volte mi fa pensare alla situazione in Italia di parecchie generazioni addietro. Quanto all'Italia, trovo che per tanti ri- spetti la critica italiana è più avveduta, più attenta alle collocazioni storiche, meno por- tata agli entusiasmi. Questo ha degli evidenti vantaggi: di acribia nella lettura dei testi e nelle discussioni metatestuali. Eppure qualco- sa manca; provo nostalgia per qualcosa che non c'è. Nella critica italiana del dopoguerra un atteggiamento laico e materialistico è di- ventato così assiomatico, essendo le alternati- ve molto spesso tenui e poco interessanti, da ingenerare una certa pigrizia. La mia speranza è non di provocare un'en- nesima polemica da giornale, ma veramente di aprire un dialogo. Il sottotitolo del mio libro è La retorica come teoria, e qui ci sono gli interessi di retorica, che hanno in Italia uno dei punti di forza. Il titolo, invece, Ascoltare il silenzio, esprime uno sviluppo diverso: im- plica un'attenzione al numinoso, una nuova problematica del sacro, che io sono molto interessato a proporre come modo di interro- gare i testi letterari, ascoltandone quella che io chiamo la dimensione silenziaria. La parte migliore, e più agguerrita, della critica italiana, quella che mi ha insegnato di più, non ascolta il silenzio, si occupa dei testi in un modo molto più vocale. Vedo il mio libro come un'occasione di aprire un dialogo fra la vocalità della letteratura, con tutto quel- lo che essa implica di assertivo, polemico, aperto a indagini demistificatrici, assoluta- mente necessarie, e la sua dimensione silen- ziaria, che evoca invece il sacro e il numinoso. L'appello avrà difficoltà a essere raccolto. Intanto non è un caso che Burke sia ignoto in Italia. Gli aspetti che tu evocavi della critica americana sono proprio quelli che da noi non passano, o creano fraintendimenti. Penso, come possibile interlocutore, a uno come Fortini, di- chiaratamente materialista, però con una for- ma di severa religiosità ebraica, un aspetto pro- fetico. Ricordo che due o tre anni fa, a un con- gresso a Venezia, ha sostenuto appunto che dob- biamo circondare la poesia di silenzio. Fortini reagisce in questo modo al consumismo, alla desacralizzazione della letteratura. E quasi simbolico che qui a Yale ci prepa- riamo a un incontro con Fortini. Ci teniamo ad avere da lui piuttosto che una conferenza, una lettura di poesia o una serie di considera- zioni del tipo che dicevi. Non a caso Fortini è anche poeta. Trovo che in Italia i poeti (penso anche a Sereni, anche lui tutt'altro che confessionale) hanno avuto questo senso silenziario, l'hanno senti- to molto forte. I critici, invece, sono stati più vocali, anche se ci sono esempi in contrario: penso a Michelstaedter, che non a caso è auto- re direi del più sconvolgente libro di retorica della tradizione italiana moderna, penso per certi aspetti a Renato Serra, a questo tipo di testimonianze.