ha portato alla pubblicazione prima del periodico "Note e riflessioni UmES" e successivamente al lancio della iniziativa editoriale "Persone & Imprese", di cui la presente rivista è la ulteriore maturazione. Non posso poi non ricordare che il secondo numero di "Persone & Imprese" (n.l, 1992) è stato interamente dedicato al lavoro e alle politiche del lavoro - chiave indiscussa della questione sociale. La Conferenza di settembre, dunque, si pone in assoluta continuità di intenti con il lavoro culturale della nostra rivista. Il convegno romano dello scorso settembre si è articolato attorno a quattro grandi questioni, legate da un comune filo conduttore: l'idea che le grandi trasformazioni economiche e sociali che il mondo ha attraversato nei venti anni dalla pubblicazione della Laborem Exercens possano essere adeguatamente comprese.solo alla luce della dimensione soggettiva del lavoro umano. I quattro filoni: il lavoro umano e il suo significato; le grandi trasformazioni economiche e sociali alla luce della dimensione soggettiva del lavoro; le risposte costruttive alla questione sociale; il ruolo dei grandi attori collettivi. La proposta della Conferenza, diffusa in febbraio con un Cali for papers, ha incontrato una risposta entusiasta da parte di molti studiosi e anche di protagonisti dell'azione in campo sociale di ogni parte del mondo, documentando l'esistenza di una enorme ricchezza di riflessioni e di esperienze "locali", dentro la consapevolezza diffusa, alle latitudini e longitudini più varie, che davvero l'uomo storico e concreto, la sua capacità e il suo desidero di lavoro, sono il motore del cambiamento: in India o nelle Filippine, negli studi legali americani o nella rampante economia irlandese. A questo proposito, una visita al sito web della Conferenza è più eloquente di mille discorsi che potrebbero essere fatti qui (http: //www.stthomas.edu/cathstudies/cst/mgmt/LE/). Certamente non ci saremmo mai aspettati di iniziare la Conferenza, il 12 settembre, in un momento così tragico per tutto il mondo e anche direttamente per molti partecipanti alla Conferenza; ma indubbiamente il lavoro comune è stato reso più reale e più costruttivo dal condividere - fra persone di quaranta paesi - il dolore mescolato alla solida consapevolezza di un bene oggettivamente presente anche in quelle drammatiche circostanze (impressionante, ad esempio, il fatto che le telefonate dei nostri colleghi americani, cattolici, alle loro famiglie tornavano ripetutamente, con commozione, ad una notizia solo apparentemente marginale, ma in realtà capace di esprimere senza parole un giudizio profondo sulla tragedia: la notizia che i pompieri di New York avevano chiesto l'assoluzione sacramentale generale prima di entrare nelle Torri, dove erano entrati certi di morire, e certi di morire in nome di un positivo ultimo). Come il lavoro umano non è mai finito, perché non è mai finito il bisogno dell'uomo, così non è mai finita la riflessione sul lavoro e sulla questione sociale; oggi in particolare, nel mondo della globalizzazione (e anche della insicurezza, categoria di cui ci eravamo illusi di poter fare a meno). Le impressionanti trasformazioni che hanno caratterizzato gli ultimi venti anni, in effetti, attendono ancora di essere adeguatamente comprese. Le forme del lavoro, i tempi del lavoro, gli spazi fisici dove il lavoro si esercita sono mutati profondamente; sono emerse nuove tensioni attorno all'attività lavorativa dell'uomo che trovano espressione in frasi che ci sono familiari: la tensione fra locale e globale, fra "vecchia" e "nuova" economia, fra cambiamento tecnologico, tempo del lavoro e futuro del lavoro, fra crescita economica e sostenibilità ambientale. La questione sociale, oggi, presenta molte dimensioni; ma si può identificare una radice comune. La radice è una concezione inadeguata del lavoro che il mondo contemporaneo si porta dietro e che le grandi trasformazioni sopra ricordate contribuiscono a mettere in evidenza.