N. 3 Esce in Italia il tanto atteso romanzo di Franzen Una chance terrena di felicità di Valentina Prosperi Il nuovo romanzo di Jonathan Franzen, Freedom (.Libertà, ed. orig. 2010, trad. dall'inglese di Silvia Pareschi, pp. 622, € 22, Einaudi, Torino 2011), arri- va in Italia con forte ritardo sull'uscita originale; nel frattempo recensioni, interviste all'autore e occasio- nali polemiche hanno contribuito a creare un oriz- zonte di attesa molto alto nel lettore italiano. Non po- trebbe essere diversamente: Freedom arriva dieci an- ni dopo il grande successo delle Correzioni (ed. orig. 2001; Einaudi, 2002), il romanzo della consacrazione letteraria; in questi anni sono usciti Come stare soli (ed. orig. 2002; Einaudi, 2003), riflessioni sul mestie- re di scrittore e di intellettuale, e Zona disagio (ed. orig. 2006; Einaudi, 2006), raccolta di saggi nei qua- li tra l'altro Franzen illuminava i suoi tormentati inizi di carriera; ma nessuna fiction. L'aspettativa è stata anche alimentata da "eventi" di grande impatto co- municativo, come la richiesta del presidente Obama di leggere il libro in anteprima; il giallo degli occhiali rapiti con richiesta di riscatto durante il tour di pre- sentazione londinese; e, su tutto, la consacrazione sulla copertina di "Time" come great American wri- ter. Dieci regole per scrivere fiction. - Nel febbraio dell' anno scorso Franzen ha dettato al quotidiano britannico Guardian dieci regole per scrivere fiction-, mancavano pochi mesi all'uscita del romanzo, circo- stanza che ci autorizza a leggere le "rules" come nor- me empiriche desunte dalla viva carne del romanzo infierii non il contrario: principi astratti elaborati in vista di un lavoro futuro. Alla apodittica concisione delle "rules" possiamo inoltre supplire con le moltis- sime interviste rilasciate dallo stesso Franzen. Al- la domanda - inevitabile in ogni intervista - sulla genesi del romanzo, Franzen ha dato sempre la stessa risposta: dopo anni di inerzia creativa, era stato il suicidio dell'amico scrittore David Foster Wallace, nel 2008, a riportarlo con violenza alia necessità di scrivere. Il caso ha voluto - e più del caso, certo, considerazioni di mercato, che fanno della comunità di lettori di Foster Wallace una delle più fedeli e avide, soprattutto dopo la scom- parsa dell'autore - che ci si offra ora l'occasione di riannodare le fila del dialogo letterario tra i due, un dialogo che sappiamo serratissimo e con- tinuo, interrotto solo dall'aggravarsi della depres- sione e poi dalla morte di Foster Wallace. Negli stessi mesi di Freedom è infatti uscita una lunghissima intervista rilasciata da Foster Wal- lace a un cronista di "Rolling Stone" nel 1996, al- l'indomani del successo di Infinite Jest (ed. orig. 1996; Fandango, 2000), capolavoro e romanzo- monstre (David Lipsky, Although of course you end up becoming yourself- A road trip with David Foster Wallace, Broadway Books, 2010). Il libro di Lipsky non è solo un inestimabile regalo ai lettori di Foster Wallace per tutto quello che rivela della personalità deh' intervistato — dai film preferiti alla passione per Alanis Morrissette -, è anche un'affascinante rifles- sione sui temi di teoria e prassi della letteratura che animavano le conversazioni dello scrittore scompar- so con gli autori a lui più vicini, in primis Franzen. Infinite Jest è, tra le altre cose, una grande, consa- pevole metafora sui rischi dell'esercizio della libertà nel!'Occidente ricco, privilegiato e saturo di possi- bilità di piacere. La controllatissima architettura "esplosa" del ro- manzo indusse all'epoca alcuni critici a travisar- lo per un'esondazione incontrollata di flusso di co- scienza. Ma, come Foster Wallace chiarisce nell'in- tervista a Lipsky, lo stile sperimentale (avant-garde nella sua definizione) di Infinite Jest era invece una precisa risposta artistica all'imperativo per lui es- senziale: restituire al lettore la vertigine della vita contemporanea, nella quale siamo ogni giorno esposti a milioni di stimoli indifferenziati; una con- dizione che ci rende infinitamente più vulnerabili al rischio di disumanizzarci. Tutt'altra cosa è Freedom, rappresentante di quel- lo stile narrativo lineare del romanzo ottocentesco rifiutato da Foster Wallace perché ormai troppo di- stante dall'esperienza di vita contemporanea. Eppu- re, nella totale differenza di impostazione e soluzio- ni stilistiche, i due romanzi condividono il tema centrale: la spinta a soddisfare ogni desiderio con- trapposta alla necessità di preservare la rete di rela- zioni che ci definisce come esseri umani. Freedom - la regola numero X - È dal titolo e dal- la sua natura amaramente antifrastica che bisogna partire. Per scrivere Freedom Franzen si è costretto in stato di reclusione volontaria, escludendo non so- lo ogni contatto umano, ma anche - in linea coi tem- pi - ogni connessione con la rete ("regola" 8 del de- calogo: "It's doubtful that anyone with an internet connection at his workplace is writing good fic- tion"). In questo stato di libertà ridotta è nato Free- dom. E pour cause, dato che il romanzo altro non è che una riflessione illustrata sui guasti e le nevrosi che l'eccesso di scelta e libertà provocano sul grup- po socio-demografico in assoluto più privilegiato proprio in termini di accesso ai beni materiali e im- materiali del mondo contemporaneo: statunitensi bianchi benestanti. Ad apertura di romanzo, il letto- re tolstoianamente amante delle famiglie infelici vie- ne edotto sulla disgregazione che ha colpito casa Berglund: è la voce coflettiva dei vicini, in un mali- gno tripudio di "io l'avevo detto", a illustrare la ca- duta di Patty e Walter Berglund da un invidiato pa- radiso di armonia familiare a un inferno di conflitti tra coniugi e coi figli, fino alla partenza per Wa- shington e alle ultime, succose notizie sui problemi di Walter col nuovo lavoro. Dopo questo prologo corale, la seconda parte del romanzo è affidata a Patty Berglund, ovvero al memoir che Patty ha scrit- to "dietro sollecitazione del suo analista"; è in que- sta sezione che il lettore scopre i protagonisti e come le loro vite si siano intrecciate fino al momento pre- sente. Nella regola numero 4 Franzen raccomanda di usare sempre la terza persona "unless a really di- stinctive first person voice offers itself irresistibly". In Freedom questa voce è Patty Berglund. Come confessava all'intervistatore di "Time", nel 2008 Franzen, dopo sette anni di lavoro, non aveva altro che "una voce": Patty è nata prima del romanzo, ed è a lei che dev'essere riconosciuto quel ruolo di pro- tagonista che neppure la struttura policentrica del romanzo, simile in questo alle Correzioni, può na- scondere. Nel memoir Patty si rivela come una don- na che per tutta la sua vita adulta ha esercitato la li- bertà di reinventarsi in opposizione all'ambiente dal quàle proviene. I genitori/veri "liberal" newyorche- si, sono stati troppo impegnati a beneficare un astratto prossimo per riservare alla figlia altro che di- stratta indifferenza quando non vera e propria cru- deltà. Strumento della sua reinvenzione è stato Wal- ter, il compagno di università che le ha offerto amo- re e libertà economica per costruire una famiglia ba- sata sulla cura e la condivisione. Grazie a Walter la giovane Patty può per un certo tempo fiorire ed es- sere per propria scelta madre, moglie, casalinga in quel di St. Paul, Minnesota. Quando la catastrofe si affaccia alla soglia dei Ber- glund, lo fa sotto le spoglie banali di un conflitto tra Patty e Joey, il figlio adolescente; senonché lo scon- tro generazionale assume dimensioni devastanti, proporzionali alla violenza e alla parzialità dell'a- more di Patty per il figlio. La decisione di Joey di andare a vivere con la fidanzatina Connie in casa dell'impresentabile madre di lei, sommata all'inade- guatezza di Walter nel far fronte alla situazione, ri- svegliano in Patty non solo le ferite emotive dell'in- fanzia, ma anche il rimpianto per Richard, il musi- cista amico fraterno di Walter. È così che Patty, de- pressa e prossima all'alcolismo, si concede la libertà di fare sesso con Richard: dall'incontro di una volta non solo non nascerà una nuova relazione, pregiu- dicata dai sensi di colpa di entrambi, ma scaturirà la consapevolezza di aver rinunciato, in nome del ma- trimonio, a una sessualità appagante. Una rinuncia abbracciata in perfetta libertà, certo, ma che pesa come un macigno nel momento in cui il progetto di famiglia si avvia a sicura rovina. Una illusoria ricer- ca della libertà è alla radice anche delle altre vicen- de che si intrecciano nel romanzo: Joey si crede li- bero di abbandonare e ferire la famiglia senza ra- gione apparente; Ubero di prendere e lasciare Con- nie; libero di fare soldi nelle pieghe oscure dei rifor- nimenti militari per la guerra in Iraq, fin quando la rovina finanziaria e un soprassalto morale lo sospin- geranno verso i disprezzati valori paterni. Richard è libero per definizione: è una rock star che in più persegue una totale indipendenza di le- gami: dalle donne, dal successo, dai soldi. L'unico vincolo che riconosce è la lealtà a Walter, ma pro- prio per un malinteso senso di amicizia gli rovinerà la vita rivelandogli l'adulterio di Patty. Walter, infi- ne: per tutta la vita si lascia definire per sottrazione dal desiderio incensurato di chi lo circonda - desi- derio di un padre, di un marito, di un amico fedele, di un figlio abnegato -, fin quando l'espansione in- controllata delle richieste altrui lo travolge, costrin- gendolo a trovare un suo desiderio, che sembra fugacemente realizzarsi nell'amore della giovane Lalitha. Il percorso di caduta, espiazione e fati- cosa resurrezione affrontato dai personaggi di Freedom ne fa un romanzo profondamente puri- tano. Ai lettori italiani farà, credo, una certa im- pressione il carico di colpa e di pena addossato da Franzen alla sua protagonista per quella che alla fine è una infrazione sessuale, in una specie di riedizione aggiornata della Lettera scarlatta. Ed è forse questo il maggior limite del libro, che si rivela insospettato romanzo "a tesi" nell'impo- sizione di una struttura morale (e moralizzatrice) sul caos dell'esistente. La regola numero 6. - Quando si chiude il memoriale di Patty si affac- ciano sulla scena gli altri protagonisti della storia: Walter in primo luogo, ma anche Joey, Richard, gli altri personaggi minori (tra i quali una menzione speciale va all'irresistibile, detestata "middle sister" di Patty). Ogni sezione del libro mette al centro un diverso personaggio, sospingendo gli altri sullo sfondo, secondo il procedimento narrativo che era già delle Correzioni, finché il cerchio si richiude su Walter e Patty e il loro doloroso raggiungimento di una nuova serenità insieme, complice la provviden- ziale scomparsa di uno dei personaggi più deboli del romanzo, Lalitha, assistente e amante di Walter, che viene fatta fuori da Franzen nella miglior tradi- zione delle terze incomode. Se è vero che una delle regole di Franzen (la numero 6) prevedeva che "the most purely autobiographical fiction requires pure invention", possiamo dire che la pura invenzione di Freedom coinvolge non solo la biografia del suo au- tore ma addirittura i suoi sentimenti, provocando un corto-circuito tra narrazione e narratore eviden- te nel fallimento artistico del finale. Questo, per quanto debole, non giungerà inaspettato per chi ab- bia saputo cogliere la palpabile simpatia umana che Franzen riserva ai personaggi, tutti intessuti di au- tobiografia, come è stato da più parti notato. Nes- suno dei personaggi di Freedom, alla fine, sarà Ube- ro quanto aveva desiderato o creduto di desiderare: con sollievo generale, perché il riconfigurarsi di vec- chi legami e la risoluzione di vecchi conflitti lascerà tutti meno Uberi ma anche meno soli. Spietato a trenta e a quarantanni con le sue creature letterarie, a cinquantanni Franzen appare addolcito tanto da non saper loro negare quella chance di terrena feli- cità che forse augura anche a se stesso. ■ prosperivguniss.it V. Prosperi insegna filologia classica all'Università di Sassari Q o K> k Q tuo