N. 11 dei libri del mese| 41 L Classici Classici Letterature Ragazzi Letteratura medievale e umanistica Noir Fumetti Politica Storia Charles Perrault, Tutte le fiabe, ili. di Élodie Nouben, trad. dal francese di Maria Vidale, pp. 197, € 21, Donzelli, Roma 2011 Figura di spicco della corte di Luigi XIV, collaboratore di Colbert, autore di elogi sperticati del re in versi e in prosa, protagonista - dalla parte dei Moderni - della "Disputa degli Antichi e dei Moderni", Charles Perrault aveva più di sessantanni quando si cimentò per la prima volta in un genere che stava diventando di moda, la fiaba. Delle tre fiabe in versi che pubblicò nel 1693, una conobbe immediatamente grande fortuna: Pelle d'asino. Incoraggiato da quel successo, nel 1697 diede alle stampe otto fiabe in prosa, attribuendole al figlio decenne Pierre, di cui sperava così di favorire la futura carriera. Ma Pierre sarebbe morto in giovane età e il pubblico non avrebbe mai avuto dubbi sul vero autore delle incantevoli Storie del tempo che fu (questo il titolo originario, accompagnato dal sottotitolo che rimandava al folclore, Fiabe di Mamma Oca). Sono proprio le otto fiabe in prosa quelle raccolte in questo volume, tutte celeberrime: dalla Bella addormentata a Barbablù, da Cappuccetto Rosso a Cenerentola, a Pollicino, al Gatto con gli stivali. L'eccellente traduttrice vi ha aggiunto un notevole pezzo di bravura: la traduzione in versi di Pelle d'asino, da lei trasposta con un garbo e un'eleganza straordinari. Il lavoro è di particolare interesse perché di tutte le fiabe di Perrault Pelle d'asino è quella che è stata più spesso censurata. In questa versione l'audacia dell'originale resta intatta: il re desideroso di sposare la propria figlia, ad esempio, riesce a far avallare la sua insana decisione da un accomodante padre gesuita, scomparso dalla maggior parte delle edizioni otto-novecentesche del testo. È una frecciata che ci ricorda che Perrault appartenne a una famiglia di ferventi giansenisti e fu forse tra gli ispiratori delle Lettere provinciali di Pascal. Se il lettore bambino di questo volume sarà incoraggiato dalla traduzione piana e trasparente, e dalle piacevoli immagini della giovane illustratrice, il lettore adulto vi ritroverà tutto il fascino della secentesca "civiltà della conversazione": in particolare gli incanti di una.voce narrante ironica e allusiva, che sa fondere con grazia inimitabile le oscure magie del folclore e lo sguardo spregiudicato della moderna razionalità . Mariolina Bertini matografico, sbiadendo dall'inizio degli anni settanta. Negli ultimi anni la ripropone Mattioli 1885, che nel 2007 ha edito II compromesso. Arriva ora opportunamente nelle librerie la scrittura più autobiografica del regista, vera e propria storia di famiglia, che allo stesso tempo diviene cronaca delle migrazioni di un popolo. America America (traduzione efficace di Nicola Manuppelli) era uscito in Italia due volte (nel 1963 da Mondadori, a un anno di distanza dalla presentazione negli Stati Uniti e nei 1985 da Frassinelli), nel secondo caso con il titolo del film così come venne proposto in Italia: Il ribelle dell'Anatolia. L'epopea di Stavros (che riecheggia effettivamente la contrastata vita dello zio dell'autore) è quella di un greco di Turchia, che riesce, a prezzo di sacrifici terribili, a mettere insieme la somma che gli serve per recarsi nel Nuovo mondo, a cui affida tutte le sue speranze di riscatto. L'esistenza del suo gruppo familiare è infatti sempre più precaria, in un paese che stava vivendo l'attacco alla comunità armena Le immagini della sezione Schede sono gli originali delle copertine disegnate da Franco Matticchio in mostra e in vendita ad ARTEGIOVANE questione femminile che fu al centro dei suoi racconti brevi e di qualche tentativo di romanzo. Il suo testo più celebre è certamente The Yellow Wallpaper, ora riproposto con testo inglese a fronte dalla Vita Felice. In questo lungo racconto, Gilman affronta la questione della depressione post partum che afflisse anche la scrittrice dopo la nascita della sua unica figlia. La paralisi che coglie la protagonista, reclusa in una stanza di un grande villa nella campagna inglese, è descritta con una particolare abilità, tanto che il testo ha un evidente fondamento autobiografico. La donna, accudita da un amorevole compagno, abbandona ogni attività per dedicarsi quasi completamente all'osservazione di un carta da parati di un giallo assai sgradevole. L'insistenza del suo sguardo giunge a proiettare sul muro una figura di donna sempre più viva e aggressiva nei suoi confronti. Colta da una specie di raptus, la donna strappa tutta la carta dalle pareti, quasi preda di un'animalesca follia, davanti al marito sbigottito. Un testo anomalo e, per quanto rivolto alla critica sociale, ancora fortemente legato alla cultura vittoriana, al suo lato in ombra, al punto che si può ascrivere al genere gotico, dove la sofferenza femminile assume la forza dirompente di un incubo a occhi aperti. Camilla Valletti Elia Kazan, America America, ed. orig. 1964, trad. dall'inglese di Nicola Manuppelli, pp. 119, €17,90, Mattioli 1885, Fidenza (Pr) 2011 Elia Kazan (1909-2003), anche in tempi po-stideologici, resta legato nella memoria collettiva al suo gesto radicale di rinnegamento degli ideali di sinistra, sotto i cui auspici aveva iniziato una prestigiosa carriera nel cinema. Nel 1999, al momento del conferimento del premio Oscar alla carriera, non furono pochi (tra gli altri Nick Nolte e Ed Norton) quelli che non si alzarono ad applaudire, stigmatizzando la sua collaborazione con il regime poliziesco di McCarthy, che aveva emarginato o costretto alla fuga tutti il mondo culturale legato alla sinistra (come racconta memorabilmente Dal-ton Trumbo nel notevolissimo Lettere dalla guerra fredda, Bompiani, 1977). Anche in Italia i fatti della storia personale del regista hanno messo decisamente un velo sulla sua produzione, che pure vanta non pochi classici amatissimi. Basti qui citare Un tram chiamato desiderio (1951) e La valle dell'Eden (1955), che furono anche veicolo di divismo rispettivamente per Marion Brando e James Dean, senza scordare il romanticissimo Splendore nell'erba (1961), storia di amori infelici e rovine familiari, interpretata da una Natalie Wood in stato di grazia. La sua produzione letteraria era arrivata in Italia nell'onda del successo cine- Carlo Emilio Gadda, Accoppiamenti giudiziosi (Guanda) (la vicenda si apre con un vero e proprio pogrom che segue un attacco a Costantinopoli) e in cui gli equilibri creati nei secoli dell'impero ottomano andavano rapidamente in rovina. La scrittura che Kazan propone è per immagini e azioni, ha il ritmo di una sceneggiatura, è fatta di piani-sequenza e di dettagli. Il film omonimo, contrastato, forte, non aveva attori noti e si basava, quasi ossessivamente, sul volto di Stathis Giallelis, star di un solo film. Una faccia scavata, incisa, perfetta per incarnare una vicenda di umiliazione e riscatto. La vicenda si conclude su una possibile speranza, con il protagonista che scandisce: "C'è gente che aspetta", pensando tanto ai propri clienti in una strada di Brooklyn, che alla famiglia d'origine, che attende sullo sfondo degli aspri paesaggi dell'Anatolia di poter finalmente giungere al luogo della speranza. Luca Scarlini Charlotte Perkins Gilman, La carta da parati gialla, ed. orig. 1892, trad. dall'inglese di Cesare Ferrari, pp. 63, testo inglese a fronte, € 7, La Vita Felice, Milano 2011 Fìiscoperta dall'editoria italiana in questi ultimi anni, Charlotte Perkins Gilman è stata una delle agitatrici più efficaci del movimento femminista utopista inglese. Fondò una rivista letteraria misurandosi sempre con la Carolina Invernizio, peccatrice moderna, pp. 352, € 14,50, Avagliano, Roma 2011 In principio fu il mito della "donna fatale", il nuovo immaginario erotico nato dalle pagine del romanzo popolare, dalle trasformazioni della condizione femminile e dagli scandali delle "instancabili romanzatoci" (Croce) dei primi anni del secolo. Sul confine mobile, a cavallo tra i pregiudizi patriarcali e le gesta delle "grandi impure", ambientava i suoi romanzi anche la più famosa scrittrice d'appendice, Carolina Invernizio, la quale, ritraendo una realtà femminile sempre più instabile, ne descriveva (e sfruttava) con astuto conformismo le repressioni e desideri. Come nel romanzo Peccatrice moderna (1915), storia del duello tra una "creatura indegna", Sultana, l'adultera assassina del titolo, e Anna Maria, rappresentante dei valori della fedeltà affettiva e della virtù domestica. Evidente è l'ambiguità del nuovo universo femminile, nel quale si svolge una vicenda che vede le due protagoniste usare entrambe, nella lotta, le armi della menzogna e della dissimulazione, per quanto necessarie al raggiungimento di scopi contrapposti. Anna Maria consuma la propria vendetta (Sultana le ha ucciso il fidanzato di cui aveva fatto il suo amante), sottrae alla nemica il nuovo amante e lo sposa. Ma il finale, al di qua di ogni risarcimento consolatorio, resta aperto e Sultana - forse in omaggio alla necessità di precostituire un sequel, come dalle leggi stringenti della produzione di genere - non soccombe in uno scontro che la lascia più libera e ricca di quanto non fosse all'inizio del racconto. Come è stato già affermato, lo svolgimento del romanzo di Carolina Invernizio è sempre il risultato una "volontà femminile collettiva" (qui l'alleanza tra Anna Maria e la suocera Jolanda). Ma, ben oltre lo scopo dichiarato delle "donne perbene" di coalizzarsi in difesa di una rispettabilità minacciata dall'individualità sessualmente ribeile della "maliarda", conta il congegno narrativo che, per quanto prevedibile, è sempre perfetto. Ciò grazie alla capacità dell'autrice di tenere in vita una formula narrativa ormai al tramonto, ma ancóra in grado di avvincere larghissime schiere di lettrici (e di lettori). Valentino Cecchetti