; N. 11 24 Fotografia Un testo tra altri testi di Adolfo Mignemi STORIA DI UNA FOTO Milano, via De Amicis, 14 maggio 1977 La costruzione dell'immagine-icona degli "anni di piombo" Contesti e retroscena a cura di Sergio Bianchi pp. 168, € 20, DeriveApprodi, Roma 2011 Raccontare un clima politico a partire dalla storia di una fotografia - una fra tante, divenuta "immagine iconica" e "simbolo" - può rivelarsi "un trattamento ricostituente per la memoria". È quanto viene proposto al lettore dal confronto con le immagini scattate a Milano il 14 maggio 1977, in via De Amicis, nel corso di una manifestazione contro la repressione durante la quale alcuni militanti di un collettivo di quartiere spararono sulla polizia, uccidendo il vicebrigadiere Antonio Custra. Una di queste riprese fotografiche, pubblicata qualche giorno dopo dal periodico "Corriere d'informazione", diventerà una delle più evocative rappresentazioni degli eventi accaduti in Italia durante gli "anni di piombo". Essa fu oggetto, fin da allora, di riflessioni attente da parte di studiosi della comunicazione (la più nota quella di Umberto Eco dalle pagine dell'"Espresso"); al tempo stesso, però, il suo divenire un simbolo l'ha usurata al punto da perdere dinamicità e complessità e apparire sempre più opaca, indecifrabile. Il volume raccoglie una ricchissima documentazione: materiali iconografici, testi estratti dagli atti giudiziari relativi a quei fatti, documenti politici dell'epoca, testimonianze di alcuni protagonisti e vari saggi impegnati ad analizzare sia il contesto politico e sociale sia le immagini e il loro utilizzo, il tutto nello sforzo, correttamente enunciato, di "fare la storia di una fonte", percorrendo "la storia degli uomini e delle circostanze che accaddero intomo ad essa", senza rinunciare alla soggettività poiché essa "è condizione decisiva per conoscere il passato, per interrogare il passato". Per quanto riguarda la produzione delle immagini, il volume pone il lettore di fronte a un corpus documentario realizzato da vari fotografi che agivano in modo indipendente l'uno dall'altro, con retroterra culturali e motivazionali assai diversi. Il loro lavoro è oltretutto reciprocamente documentato negli scatti di ognuno tanto da aver consentito ai magistrati, impegnati nell'inchiesta giudiziaria seguita alla morte di Custra, una ricostruzione puntuale delle singole riprese (incluse, si potrebbe aggiungere, quelle fatte distruggere sul luogo dai manifestanti costringendo i fotografi a esporre alla luce i negativi). Cosa non comune è anche il fatto che la ricchezza della documentazione ci consente di riflettere sulla "casualità" all'interno di un reportage dove non sempre tutto è prevedibile. Sul piano della fruizione delle immagini vengono indagati i molteplici usi dei singoli fotogrammi: i tagli, la messa in evidenza dei vari soggetti, le "soluzioni corrette o scorrette" applicate al processo di trasformazione del documento fotografico in un "testo tra altri testi". In questo senso è merito del volume fornire un'adeguata ricostruzione degli sguardi rivolti all'uso delle immagini, considerando sia chi in quelle immagini si identificava, sia chi aveva puntato a piegare "l'immagine a una diversa semantizzazio-ne", sia, infine, chi ha lavorato su di esse per estrapolare dati utili all'indagine giudiziaria. Storia, memoria, spettacolarizzazione di Luigi Gariglio Clément Chéroux DIPLOPIA L'immagine fotografica nell'era dei media globalizzati: saggio sull'll settembre 2001 ed. orig. 2009, trad. dal francese di Rinaldo Censi, pp. 132, €19, Einaudi, Eorino 2010 Le rappresentazioni fotografiche giornalistiche degli attentati alle Torri Gemelle sono l'oggetto centrale dell'analisi di questo breve volume. Il titolo, Diplopia, "vedere doppio", non è certo accattivante per un saggio, né lo sono le sobrie immagini di copertina, né la tradizionale veste editoriale: l'aspetto del volume non è certo pop né pare essere pensato per attirare l'attenzione dei possibili lettori. Clément Chéroux, conservatore dei fondi fotografici del Centre Pompidou di Parigi ed eminente storico della fotografia, inquadra le sue tesi nella cornice teorica della storia della fotografia intesa come la storia del medium fotografia e dei suoi diversi usi sociali. Le domande cognitive che propone recitano più o meno così: quanto e in che modo sono stati rappresentati gli attentati alle Torri Gemelle di New York dell'I 1 settembre 2011 nei quotidiani americani (e non solo) nei giorni successivi all'attacco? Quante versioni visuali dei fatti sono state date? Quante versioni alternative erano disponibili alle redazioni al momento della pubblicazione? Perché le altre immagini disponibili non hanno visto la pubblicazione? Le tesi esposte nel secondo capitolo riguardano invece il rapporto tra le rappresentazioni fotografiche pubblicate, la memoria e la storia. La pubblicazione delle immagini del passato (cioè il recupero e l'attualizzazione delle immagini storiche) è una pratica giornalistica di sicuro interesse, peraltro non nuova. L'autore precisa e distingue, anche attraverso alcune citazioni di Pierre Nora, il significato dei termini storia e memoria. Chéroux scrive tra l'altro, a proposito della storia, che "è la costruzione sempre problematica e incompleta di ciò che non è più"; della memoria, invece, che "è un fenomeno sempre attuale, un legame vissuto in un presente eterno". In questa prospettiva teorica che funzione hanno le immagini recenti e quelle storiche pubblicate? Il giornalismo usa le immagini del passato accostandole a immagini recenti soprattutto per "solleticare" la memoria collettiva e costruire significati e non tanto per richiamare i fatti a cui le prime si riferiscono. Se le immagini iconiche, quelle cioè note ai più, portano con sé interpretazioni condivi- se della realtà, lo stesso non può avvenire con le immagini di fatti recenti non ancora "metabolizzate" dal pubblico. L'uso di immagini storiche come chiave di lettura di quelle più recenti è un processo non privo di insidie: proprio l'uso banale delle immagini storiche e il loro accostamento altrettanto banale alle immagini recenti (uso in-tericonico) sarebbe una delle caratteristiche comuni a molte delle rappresentazioni visuali dell'attentato alle Torri Gemelle. Per Chéroux sono due i principali fattori che producono la "banalizzazione dell'uso intericonico" delle immagini: il primo è la sempre maggiore attenzione dei media alla storia e soprattutto alle memorie soggettive; il secondo, da un lato, la spettacolarizzazione del dolore costruita e diffusa dalle grandi agenzie di immagini (che diffondereb-bero fotografie standardizzate alle redazioni giornalistiche) e, dall'altro, il molo giocato dalle produzioni filmiche di Hollywood, prodotto globalizzato che fornisce versioni simili della realtà. Le rappresentazioni visuali dell'I 1 settembre offerte dai giornali risultano omogenee e standardizzate sia nello spazio che nel tempo. Costruite dalle redazioni, trasformerebbero fatti ed eventi assai diversi tra loro in rappresentazioni simili e anche fatti lontani nel tempo in fatti narrati, e perciò percepiti dal pubblico, come simultanei. ■ luigi.gariglio@unito.it L. Gariglio insegna visual studies all'Università di Torino Tutt'altro che fuori moda di Mario Dondero Walter Benjamin PICCOLA STORIA DELLA FOTOGRAFIA ed. orig. 1931, trad. dal tedesco di Maria Cristina Coldagalli, PP- 48, €9, Skira, Milano 2011 La fortuna che accompagna l'opera filosofico-letteraria di Walter Benjamin non è per nulla scalfita dal tempo, non passa di moda, anzi cresce a dismisura. Il suo nome e la sua opera sono citate in dotte conversazioni, in convegni e in simposi, specialmente se dedicati alla fotografia. Questa sua Piccola storia della fotografia, apparsa nel 1931 sulla rivista progressista "Die Literarische Welt" e riproposta in italiano da Skira, con una utile nota di Walter Guada-gnini e il corredo di alcune immagini tra quelle preferite dall'autore, ha il merito di riempire un vuoto, ed è un indispensabile contributo alla riflessione sulla fotografia. Benjamin cerca, in questo piccolo libro, di rispondere alle domande storiche, se si vuole filosofiche, suscitate dalla nascita e da quello che considerava il declino della fotografia. Introduce il concetto di "aura", che farà discutere per molti lustri gli appassionati. Il testo è una fervida difesa dei valori etici del fotografare e anche un omaggio ad alcuni fotografi, in particolare Auguste Atget, autore di straordinarie immagini di Parigi, una città particolarmente amata dallo studioso tedesco. Atget fotografava Parigi senza esseri umani, come un luogo vuoto e surreale, nelle prime ore del giorno, prima che la città si svegliasse. Fotografava le strade, le piazze, i cortili e i passages, cui Benjamin attribuiva un ruolo essenziale nella vita sociale della metropoli. Ma Atget, nato nel 1857 e morto nel 1927, non si credeva un artista, forse semmai un artigiano che lavorava per i pittori. Sulla porta del suo studio, in rue Campagne Première, stava scritto "Docu-ments pour Artistes". La sua opera diventerà un prezioso patrimonio, conservato nella Bi-bliothèque Nationale e in altre istituzioni francesi. Benjamin era particolarmente affascinato da l'àge d'or dei primordi della fotografia, dalle ricerche storiche di Daguerre e Niépce, che svolsero parallelamente e indipendentemente le loro ricerche, volte a raggiungere il medesimo obiettivo: fissare le immagini della camera oscura che si conoscevano dai tempi di Leonardo. Benjamin invita a studiare le immagini per quello che riescono a esprimere e che uno sguardo superficiale non riesce a cogliere. Gli piacciono particolarmente i calotipi di Òctavius Hill e Robert Adamson, pionieri britannici della fotografia, per le straordinarie immagini dei pescatori della spiaggia di New Haven, una serie che costituì forse il primo reportage sociale della storia. Nel volume è riprodotto appunto il celebre calotipo della pescivendola, che Benjamin descrive con grande finezza. Vi figura anche una foto scattata da August Sander, appartenente a un album di fotografie dal titolo Volti di questo tempo, che illustra i mestieri, le professioni, le condizioni di vita dei tedeschi all'epoca della repubblica di Weimar. Pubblicata nel 1929 da Kurt Wolf, con un'introduzione di Alfred Dòblin, questa raccolta fotografica scatenò le furie dei nazisti, che ne ordinarono il sequestro nonché la distruzione delle lastre originali. Prima di lasciare la Germania per sfuggire alle persecuzioni razziali, Benjamin lottò intensamente contro le concezioni estetiche e la retorica presenti nella fotografia della propaganda nazista. Purtroppo, sebbene fosse riparato in Piccola storia Francia, i suoi perse-delia j cutori finirono con fotografia l'avere ragione di lui. Per il timore di essere consegnato ai tedeschi, Benjamin si uccise a Port Bou, piccolo paese spagnolo appena oltre la frontiera francese, dopo un viaggio irto di peripezie, ma animato dalla speranza di poter raggiungere Lisbona e imbarcarsi per gli Stati Uniti, paese per il quale i suoi amici Adorno e Horkheimer gli avevano procurato un visto. Francisco Franco, fresco vincitore della guerra civile in quel lontano 1940, aveva, con un criminoso accordo, promesso a Hitler che avrebbe respinto nella Francia di Vichy gli ebrei stranieri rifugiatisi nel suo paese. La vicenda, in forma romanzata, è stata raccontata in un bel libro di Bruno Arpaia, L'angelo della storia. Questo saggio, così ricco di suggestioni, ha attraversato il tempo conservando una sua significativa utilità ed è diventato un ineludibile punto di riferimento per coloro che si interessano, in un modo o nell'altro, alla fotografia. Non sono molti i grandi scrittori, filosofi, pensatori che si siano interessati in modo speciale alla fotografia. Vengono in mente, tra i contemporanei, Roland Barthes, con il suo celebre saggio La camera chiara, e l'americana Susan Sontag, di recente scomparsa, che dedicò alla fotografia e al suo impatto sociale innumerevoli pagine. Ma, prima di loro, per parecchi decenni, l'opera di Benjamin rimase quasi l'unico caposaldo di un appassionato dibattito. ■ M. Dondero è fotografo