Editoria La fabbrica del libro Una lunga vicenda editoriale di Aldo Giannuli Anche se in maniera confusa e contraddit- . toria, la questione della memoria storica /y*/ sta emergendo come tema cruciale per \y quella ricostruzione morale e civile ^ degli Italiani di cui sentiamo urgente ^«s»»-, 11 bisogno. Anche la commemorazione del 150° anniversario dell'unità d'Italia potrebbe servire allo scopo. Non si tratta di una ricerca di identità di cui un grande amico dell'"L'Indice" delle origini, Pierre Bourdieu, soleva predire un esito reazionario o, nella migliore delle ipotesi, incerto. Né nutriamo tenerezze per una così detta storia condivisa, intrinsecamente autoritaria, semmai utile a sostenere qualche singola ambizione istituzionale. In una democrazia la cultura è anch'essa terreno di discussione e di confronto; anche di lotta politica. Lo affermava Vittorio Foa e lo abbiamo riaffermato come una ragion d'essere del-l'"L'Indice", specie in un momento come questo. Non possiamo illuderci che i nostri lettori leggano sempre e tutta la nostra rivista, ma ci permettiamo di suggerire loro di non lasciarsi sfuggire la ricostruzione della vita e dell'opera di Licia Pinelli da parte di Benedetta Tobagi (cfr. p. 12 di questo numero). Quel testo costituisce l'esempio di come si possa far riemergere e chiarire una pagina del passato di cui una democrazia ricostruita non può fare a meno, ma è anche il segno di una ragione profonda del nostro impegno. Come c'insegna Licia, citata da Benedetta: "È questa (la) durezza di fondo delle persone che sono costrette a subire le cose ma non si arrendono mai. E non è la durezza del boia". ■$7" Con ciò non intendiamo eludere lo _ specifico del nostro lavoro che è l'atten-' xVP^ zione alla qualità di ciò che si pubblica in Italia. Per questo, in questa stessa pagina, abbiamo riesumato una ru-" brica a suo tempo proposta da Giuseppe Sergi, "La fabbrica del libro", che segnala come tale qualità non sia soltanto determinata dal testo, ma dal modo in cui esso viene edito, nel rispetto, o meno, di regole di correttezza e di trasparenza che ne costituiscono parte integrante. Aldo Giannuli non si limita a recensire un classico, La strage di Stato; una controinchiesta che, dopo i tentativi dello Stato dell'epoca di attribuire la responsabilità della strage di Piazza Fontana agli anarchici, ha introdotto in maniera duratura il concetto di strategia della tensione, attribuendola anche ad apparati dello Stato (furono il prefetto ed il questore di Milano ad accusare Pinelli, indicando nel suo presunto suicidio un'ammissione di colpa). Non una strage fascista bensì, per l'appunto, una strage di Stato. Dalla ricostruzione compiuta da Giannuli delle successive edizioni si intende come gli autori dichiarati dell'edizione attualmente in libreria quantomeno non siano i soli autori. Altri, come emerge da un forum da noi organizzato in occasione del ventesimo anniversario di quella strage (cfr. "L'Indice", 1988, n.9), hanno preferito restare anonimi per salvaguardare il valore collettivo del loro lavoro. Restano da chiarire i motivi che hanno spinto gli editori originari, Samonà e Savelli, a consentire tale appropriazione che non si può non definire indebita. Nel 1966, in uno scontro fra studenti di sinistra e neofascisti, moriva il giovane socialista Paolo Rossi. Un gruppo di giovani dell'estrema sinistra, fra cui Eduardo Di Giovanni e Marco Ligini, avviò un primo lavoro di documentazione sul neofascismo romano. Nasceva così il Collettivo di controinformazione (tenuto d'occhio dall'Ufficio affari riservati del ministero dell'Interno sin dal suo sorgere), che, con la strage di piazza Fontana, diventò il nucleo principale del lavoro di inchiesta in difesa degli anarchici accusati. Dalla collaborazione fra il gruppo romano e quello milanese -formato da docenti di sociologia, come Franco Ferraresi, e giornalisti amici della famiglia Pinelli -prese corpo il libro La strage di stato che venne pubblicato dalla Samonà e Savelli di Roma e uscì il 13 giugno 1970 (vi sarà una nuova edizione, sempre per la Samonà e Savelli, nel 1972; successivamente compariranno l'edizione commentata per le Edizioni Associate, Roma 1989, poi per il settimanale "Avvenimenti", 1999, e per le edizioni Odradek, Eduardo Di Giovanni, Marco Ligini e Edgardo Pellegrini, La strage di Stato. Controinchiesta, Roma 2003, con successive ristampe; qui si farà riferimento ordinariamente alla prima edizione). In calce, conteneva dichiarazioni di esponenti di primo piano della sinistra, come Lelio Basso, Ferruccio Parri, Aldo Natoli e Alessandro Natta. L'inchiesta esaminava il clima del 1969, utilizzando un articolo di Leslie Finer apparso su "The Guardian" del 7 dicembre 1969, per trarne una chiave di lettura: l'eccidio era parte di un piano finalizzato a un colpo di stato di tipo greco. Era quella che, per la prima volta, veniva chiamata "strategia della tensione". Fautore del piano sarebbe stato il "par- tito americano" composto da Pri, destra De, Psu, Msi, Pli, Pri, Con-findustria e dagli apparati repressivi e militari del paese (perciò la strage era definita non "fascista", ma "di stato"). La pista anarchica era stata costruita già prima dell'attentato dalla polizia e da Avanguardia nazionale (che aveva infiltrato Mario Merlino nel gruppo anarchico) e Lotta di popolo (che aveva infiltrato Nino Sottosanti fra gli anarchici milanesi), che avevano eseguito la strage, e Pinelli era stato assassinato. Molti tratti di questa analisi non erano nuovi: l'ombra dei colonnelli greci, le trame del partito americano, il ruolo dei socialdemocratici erano temi già abbondantemente dibattuti. La novità stava nelle due chiavi interpretative del tutto: "strategia della tensione" e "strage di stato". Dunque quello non era un attentato "contro" il sistema, ma "del" sistema, perchè non mirava a destabilizzarlo ma a consolidarlo. Dal punto di vista strettamente investigativo, il libro conteneva diversi spunti interessanti, come l'infiltrazione di Merlino e Sottosanti o (pur se solo accennato) il ruolo di Michele Sin-dona. Ma non mancavano limiti, errori o imprecisioni. Soprattutto l'impianto politico peccava di eccessivo schematismo, derivato dall'idea che ci fosse una "regia unica" di tutto e che la liquidazione della democrazia fosse la scelta strategica principale del blocco dominante. Anche la pista investigativa principale, che identificava nell'asse Delle Chiaie-Borghese gli organizzatori della strage (mentre dedicava pochissima attenzione a Ordine nuovo), si è poi rivelata errata. Ciò non di meno, il libro ebbe un effetto formidabile nel disgregare l'impianto accusatorio contro gli anarchici e nello spianare la strada all'emergere della pista nera. D'altra parte, la formula "strategia della tensione + strage di stato" con il tempo si è confermata sostanzialmente esatta, aldi là dell'insuccesso della "pista Delle Chiaie". H libro compariva in un momento in cui c'era domanda di qualcosa del genere: e fu il testo di agitazione che i militanti cercavano. Ciò ne decretò l'enorme successo: tre ristampe in due mesi, centomila copie vendute in due anni, poi ristampe sino al 1978 con trecentomila copie vendute. Uno dei libri di culto di un'intera generazione. Le orecchie più attente furono quelle dello Uaarr (Ufficio Affari Riservati del Ministero dell' Interno), un cui confidente partecipò alla conferenza stampa di presentazione: "La strage di stato (...) non contiene particolari rivelazioni. (...) Gran mistero sui compilatori del volumetto. È certo tuttavia che hanno avuto una parte rilevante l'aw. Giuseppe Mattina, membro del Collettivo Politico Giuridico e certa Daniela, già impiegata presso la Cgil" (nota confidenziale 1 luglio 1970, in fase. "Collettivo di Controinformazione L4/27", archivio Dcpp. Acps). Lo Uaarr si sentiva chiamato in causa dalla "pista Delle Chiaie" e un segnale di irritazione lo cogliamo in un lungo appunto, diretto al ministro, del 29 dicembre 1970 (in fase. "B - Junio Valerio Borghese" (inchiesta Salvini), archivio Dcpp.), che contiene una puntigliosa disamina dell'inchiesta. Ugualmente infastidita, ma per ragioni diverse, la reazione del Pei: il 1° luglio 1970, "l'Unità" pubblicava un'acidissima recensione di Cesare De Simone, che liquidava il libro come acqua fresca. Più aperto fu l'atteggiamento del Psi, e segnali di cauta simpatia vennero dall'area "radicaleggian-te" ("l'Astrolabio", "L'Espresso") e dalla costituenda area dei "Giornalisti Democratici". L'anonimato di autori e fonti venne giustificato con ovvie ragioni di sicurezza e, inizialmente, l'unico personaggio che si espose pubblicamente fu Di Giovanni. Questa cortina di riservatezza, paradossalmente, accrebbe la curiosità per il libro, facendo nascere le voci più diverse. Si facevano improbabili nomi di "ispiratori" (come Umberto Terracini, Riccardo Lombardi, Pietro Secchia), si favoleggiava addirittura di autori caduti vittime di attentati di cui si era taciuto per non esporre altri al medesimo pericolo. Man mano che passarono gli anni le ragioni di sicurezza vennero meno e risultò sempre meno comprensibile la ragione del persistente silenzio. Nel 1988, Oreste Scalzone fece il nome di Marco Ligini. Quasi contemporaneamente emergeva il nome di Gabriele Invernizzi. Nel 1989 Di Giovanni dava un'intervista per una riedizione critica del libro, descrivendo la struttura di lavoro, al centro della quale vi era un gruppo romano di quattro persone (Ligini, lo stesso Di Giovanni e altri due di cui ancora taceva il nome) che coordinavano il tutto e che alla fine scrissero il testo. Di Giovanni, fra i quattro, accennò a "un esponente della sinistra che tutti hanno sotto gli occhi e che, se mai si dovesse sapere, tutti si batterebbero la mano sulla fronte". Possiamo tentare qualche ipotesi sulla base della documentazione: acquista peso l'ipotesi che il misterioso "quarto uomo" possa identificarsi con qualche magistrato del Collettivo politico giuridico (Gabriele Cerminara, Corradino Castriota, Franco Marrone). Ciò spiegherebbe anche il persistente segreto su quel nome, per proteggerlo da eventuali procedure disciplinari del Csm. L'indicazione di Avanguardia nazionale indusse alcuni a sospettare che l'inchiesta fosse stata eterodiretta dal Sid, all'insaputa degli autori, e, in definitiva, fosse un depistaggio. Nello stesso tempo, Giorgio Bocca, sull'"Espresso" accennò alle "notizie del diavolo". In effetti la pista Delle Chiaie venne costruita dal Sid già nell'immediatezza del fatto, pur se montata sugge- stivamente con errori voluti e notizie ambigue (nelle note passate anni dopo alla magistratura, si parlava anche di Guerin Serac, indicato come "anarchico che vive a Lisbona"). D'altra parte, l'estrema sinistra romana era ben predisposta a ricevere segnali contro An, che era l'anima dello squadrismo in città, dunque era particolarmente odiata. Nel novembre 1988 "L'Indice" organizzò un forum per fare il punto sulla questione (cfr. "L'Indice" 1988, n. 9). Si formavano così due tesi estreme: per la prima il libro fu ispirato in gran parte dal Sid, passando notizie agli autori; per la seconda fu opera di un gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare senza alcuna influenza, diretta o indiretta, di alcun servizio segreto. Nessuna delle due tesi convince. L'ipotesi più ragionevole è che il libro sia stato la risultante di varie fonti, da quelle aperte (stampa ecc.) a quelle della raccolta militante, alle voci raccolte negli ambienti giornalistici e forensi. A tutto ciò si aggiunsero le notizie ricavate dai rapporti personali di alcuni autori in ambienti diversi. Ad esempio: Di Giovanni ha sempre sostenuto di aver appreso del ruolo di Sindona nel corso di una causa nella quale difendeva il bancarottiere Felice Riva. Come è plausibile che un magistrato possa aver avuto rapporti con funzionari dei servizi di informazione. In effetti, poco prima di morire, Marco Ligini consegnò a Giuseppe De Lutiis dei documenti che ammise di aver avuto dal generale Nicola Falde del Sid. Nel caso di Delle Chiaie, tuttavia, la spiegazione probabile sembra quella dell'"intossicazione ambientale". Ma tutto questo conta poco rispetto alla funzione storica obiettiva che quel libro assolse. ■ aldo@aldogiannuli. it A. Giannuli insegna storia contemporanea all'Università Statale di Milano Le immagini Le immagini di questo numero sono tratte da: Daniele Baroni, Un oggetto chiamato libro. Breve trattato di cultura del progetto, pp. 267, €45, Silvestre Bonnard, Milano 2009. A p. 8, Le varie operazioni di legatoria, in una delle tavole pubblicate a Parigi nel 1772, in Art du relieur-doreur de livres, di René Martin Dudin A p. 9, Herman Zapf, pagina del Manuale Typographicum del 1968, con la composizione in carattere Michelangelo e Palatino A p. 10, Progetto di William Morris per il frontespizio di News from Nowhere del 1892 A p. 17, Doppia pagina di una pubblicazione d'arte dell'editore Skira degli anni Cinquanta A p. 19, Illustrazione della Hypnerotomachia A p. 23, Emblema disegnato da Giulio Cisari per la Mondadori nel 1924 A p. 26, Frontespizio e antiporta del Cours d'étude pour l'instruc-tion du Prince de Parme, dell'abate Etienne Bonnot de Condillac A p. 29, Tavola che racconta la fabbricazione manuale della carta, tratta da una pubblicazione anonima stampata a Parma nel 1762 A p. 33, Libro d'Ore, seconda metà del XV secolo, membranaceo; mm 131X89 miniato e decorato in un centro borgognone A p. 36, Bruno Munari, la Piccola Biblioteca Einaudi A p. 37, Una delle prime pubblicazioni dei Penguin Books, Ariel, di André Maurois, 1935