Nessuna strategia può prescindere dalla costruzione di nuove regole e alleanze L'ineludibile forza dei numeri di Massimo D'Alema La raccolta di saggi contenuta nel libro Perché la sinistra ha perso le elezioni? a cura di Ma- rio Morcellini e Michele Prospero (pp. 220, € 13, Ediesse, Roma 2009) è un contributo interessan- te sia dal punto di vista dell'analisi dei flussi e della comunicazione elettorale, sia dal punto di vista dell'analisi politica. La sua parte più signifi- cativa, interessante e originale, a mio parere, ri- guarda lo studio delle ragioni politiche e dei fon- damenti politico-culturali della condotta del Par- tito Democratico: quale analisi della società e del sistema politico italiano, cioè, sia stata alla base del primo anno di esperienza del Pd, un anno conclusosi con una sconfitta persino più grave di quella elettorale. In un certo senso, infatti, quello che è avvenuto dopo le elezioni ha dimostrato che il consenso elettorale del Pd era fragile: più un'adesione in parte forzata dalla legge elettora- le, che un sostegno al progetto del Partito Demo- cratico. Tanto è vero che un pezzo dell'elettorato che si è raccolto intorno al Pd in ragione della lo- gica maggioritaria indotta dalla legge elettorale lo ha poi in parte abbando- nato. Il libro suggerisce un'analisi po- litica delle ragioni della sconfitta e, implicitamente, delle vie per una pos- sibile ripresa. In particolare (è la tesi di fondo del libro) si imputa al Pd di avere accettato una visione bipartitica o, meglio, bileaderistica della demo- crazia italiana, tendenzialmente sem- plificatoria e plebiscitaria. Poste tali regole del gioco, sono queste a deter- minare il vincitore. Il vincitore è inter- no a un tale quadro di regole, ne è il prodotto. Si può dire che noi abbiamo accettato di giocare secondo i principi e le regole di colui che ha vinto le ele- zioni. Al Pd si imputa un cedimento sul piano della cultura politica, che ha poi avuto come conseguenza il risulta- to elettorale. Ritengo che questa analisi sia in gran parte condivisibile e per certi aspetti ho anticipato alcune di queste valuta- zioni nel corso della discussione politi- ca, raffigurata a volte come una rissa personale, mentre era un confronto le- gittimo e quanto mai necessario specie all'indomani di una sconfitta. Ho an- che avanzato, in modo più organico, sul piano propositivo, una piattafor- ma, cioè un'idea del sistema politico italiano alternativa rispetto a quella bi- partitica o bileaderistica. Mi riferisco al convegno del luglio 2008, quindi successivo alla sconfitta elettorale, or- ganizzato dalle fondazioni culturali, durante il quale presentammo la piat- taforma di riforma costituzionale-elet- torale. In quella piattaforma si sostie- ne l'idea che l'approdo della transizio- ne italiana debba essere una riorganiz- zazione in chiave neoparlamentare del sistema democratico, intorno a un numero conte- nuto di partiti. Restituendo loro anche quel ruolo fondamentale di mediazione nel rapporto tra l'o- pinione pubblica e le istituzioni democratiche. Il sistema elettorale di tipo tedesco potrebbe corri- spondere a questa necessità, con il vantaggio ulte- riore di restituire ai cittadini, attraverso il sistema dei collegi uninominali, il potere di scegliere da chi vogliono essere rappresentati, disinnescando gli elementi plebiscitari che caratterizzano l'attua- le sistema politico e la legge elettorale, attraverso cui - com'è noto - è il leader, non i partiti, a no- minare i parlamentari. Il nostro, infatti, è un si- stema partitocratico senza partiti, il che lo rende particolarmente paradossale e pericoloso: dove c'è la partitocrazia con i partiti, almeno questi hanno il compito di selezionare la classe dirigen- te. Al contrario, la partitocrazia senza partiti de- termina una pura e semplice cooptazione da par- te dell'oligarchia o del capo, a seconda dei siste- mi. Si potrebbe obiettare, naturalmente, che que- sta analisi della sconfitta elettorale, che io condi- vido, è squisitamente politica e che forse non tor- na a riflettere sulle ragioni sociali del formarsi del centrodestra italiano. E qui dissento totalmente da alcune considerazioni, presenti in particolare nella parte iniziale del saggio, circa la sorpresa di fronte a questo risultato. A mio avviso, infatti, dal punto di vista dell'analisi della società italiana, nulla è meno sorprendente di questo esito eletto- rale. Mi spiego: in questo quindicennio, gli unici risultati veramente sorprendenti sono stati quelli del '96 e del 2006, quando, cioè, ha vinto la sini- stra. Esaminiamo la serie delle elezioni bipolari, tralasciando il '94, perché allora si votò in una lo- gica tripolare. Nel 1996 il centrodestra, che si presentò diviso nel Polo delle libertà e nella Lega nord, raccolse, sommando le schede, 19 milioni 60 mila voti. E parlo di elezioni vinte dal centrosinistra. Nelle ultime elezioni, il centrodestra, che si è presenta- to diviso nel Popolo della libertà e nefl'Udc, ha raccolto, sommando le schede, 19 milioni e 90 mila voti. Mettiamo ora a confronto la sconfitta elettorale di Berlusconi del '96 con la vittoria del 2008: i partiti del centrodestra (tra i quali com- prendo, ovviamente, l'Udc) hanno raccolto esat- tamente lo stesso numero di voti. Se noi esami- niamo tutti i risultati elettorali, il centrodestra ha preso, sempre, circa 19 milioni di voti. Solo in ■ occasione della sconfitta delle elezioni del 2006, quando Prodi vinse per la seconda volta, effetti- vamente il centro destra non ebbe 19 milioni di voti, ma 18 milioni 987 mila. Il centrosinistra in- vece è arrivato una sola volta, nel corso di tutta questa fase storica, a raggiungere la quota di 19 milioni ed è stato nel 2006, altrimenti ne è sem- pre rimasto ampiamente al di sotto, anche quan- do, nel 1996, vinse le elezioni. Quella vittoria fu resa possibile dal sistema elettorale, perché il centrodestra diviso tra Polo delle libertà e Lega nei singoli collegi, consentì l'affermazione del- l'Ulivo. Ma si trattò una vittoria politica: fu la tekné politiké a prevalere. Se, infatti, dovessimo giudicare gli orientamenti della società italiana, nelle elezioni del '96, che costituirono la princi- pale vittoria del centrosinistra, potremmo solo constatare che il 54 per cento degli italiani votò a destra. Lo sottolineai in un seminario a Gargon- za, scatenando polemiche immotivate. Si disse: ecco la dimostrazione che D'Alema è partitocra- tico, è contro l'Ulivo, mentre si trattava di nume- ri, semplicemente numeri, e i numeri accompa- gnano il processo democratico. Ogniqualvolta si va a uno scontro di natura bi- polare o bileaderistica, noi ci troviamo di fronte al fatto che il centrodestra raccoglie circa 19 milioni di voti intorno a Berlusconi. Questo è un dato for- te, robusto, profondo. Lo dico perché sono state fatte molte analisi su come si è formato questo blocco, alcune, secondo me, semplifi- catone. Ad esempio, penso sia sbaglia- to ritenere che questo consenso sia soltanto il frutto dell'informazione di- storta dei telegiornali. Non per cancel- lare l'esistenza di un'anomalia del si- stema democratico italiano, che esiste, ma perché questa a mio parere non è la spiegazione del fenomeno. Si tratta di qualcosa di più profondo, che ri- guarda il costituirsi di un blocco socia- le, di una cultura antipolitica che si è formata nella crisi del sistema demo- cratico dei partiti. Riguarda anche la rottura della capacità di rappresentan- za, in particolare dei ceti medi del Nord, e la crisi nei rapporti tra lo sta- to e una parte dei ceti produttivi set- tentrionali. È nel Nord, infatti, che questo blocco elettorale è più compat- to. Un esame serio dei movimenti elet- torali ci dice che la parte più mobile del paese è, sostanzialmente, il Mezzo- giorno, anche perché, avendo maggior bisogno dello stato, è più sensibile al richiamo del probabile vincitore. A ben vedere, le competizioni elettorali hanno sempre avuto un risultato pre- definito al Nord e nell'area Centro- Nord di tradizionale insediamento della sinistra, che, tutto sommato, ha retto nel corso degli anni. Nel bilan- ciamento tra questi due dati, le partite elettorali si sono tutte risolte nel Mez- zogiorno. È stato il Sud che, di volta in volta, ha dato la vittoria all'una o al- l'altra coalizione. Il centrosinistra, an- che quando ha governato, non ha mai governato Milano e la Lombardia. La destra ha governato, ma non ha mai conquistato l'Emilia o la Toscana, sal- vo qualche presidio, come succede an- che a noi. Il sistema dell'alternanza ha avuto il suo massimo effetto nel Mezzogiorno, escluso il quale l'oscillazione elettorale tra gli schieramenti è limitatissima. Gli spostamenti sono invece più frequenti all'interno delle coalizioni, tanto è vero che molti sociologi e politologi hanno elaborato il concetto di "appartenenza debole", che comporta uno spostamento di voti interno al- la coalizione, oppure tra non voto e voto. Una dif- ferenza con quasi tutti i sistemi bipolari del mon- do, che, invece, hanno un marcato scambio eletto- rale tra i blocchi. Proprio le considerazioni sulla persistenza del- l'orientamento verso il centrodestra, sulla consi- stenza delle sue ragioni sociali, ci fanno pensare al- la necessità di una strategia di costruzione di un nuovo centrosinistra. Guardando al futuro, pongo dunque questo primo problema, perché mi pare