N. 10 Idei libri del mese| 32 £ SO s k HO o CO Nina Berberova, IL capo delle tempeste, ed. orig. 1950, trad. dal russo di Francesco Bru- no, pp. 266 €16, Guanda, Milano 2009 Nella più cechoviana delle sue opere, Nina Berberova offre uno spaccato sul destino degli esuli russi attraverso la nar- razione delle vicende di tre sorelle: Sonja, DaSa e Zaj. Nella loro storia è racchiusa tutta la tragedia del Novecento russo: il conflitto mondiale, la guerra civile, la fa- me, il freddo, lo smembramento delle fa- miglie. E ancora, la voglia di sopravvivere che deve fare i conti con il senso di colpa dei superstiti, l'ossessione dei ricordi, la consapevolezza della perdita subita. È un intero mondo che è andato perduto con i suoi affetti, i paesaggi e un modo di vive- re cui si aggiunge, per gli emigrati, l'allontanamen- to dalla lingua che li lega al passato, necessaria- mente relegata a un am- bito familiare. Le tre so- relle accomunate dal pa- dre hanno avuto madri e vicende diverse, ma por- tano tutte dentro di sé un fardello esistenziale che determinerà la loro sorte. Intorno a un focolare fati- cosamente ricostituito a Parigi conducono le loro vite, ma l'intima convin- zione dell'ineluttabilità del fato le porta a rinunciare alle proprie ambizioni e aspirazioni, in preda alla ras- segnazione. Anche nella nuova realtà oc- cidentale, che sembra offrire la possibilità di essere libere e felici, non è facile estir- pare la paura. È una paura che è entrata a far parte di loro, quando in Russia si po- teva essere solo insetti "tremanti facili da schiacciare" o chiodi che i colpi di martel- lo riescono solo a rinforzare. Il capo delle tempeste è una delle opere di cui Nina Berberova non ha voluto pubblicare la tra- duzione prima della propria morte, proba- bilmente a causa dei numerosi riferimenti autobiografici. Il titolo è stato ispirato dal capo di Buona Speranza che, prima di es- sere doppiato da Vasco de Gama nel 1497, era stato chiamato da Bartolomeu Dias, che lo aveva scoperto, "capo delle tempeste". L'apparente paradosso, l'am- biguità delle due diverse denominazioni per uno stesso luogo, entrambe altamen- te simboliche, sembra voler riassumere e rispecchiare la percezione che le tre so- relle hanno della vita. Giulia Gigante racconto dell'Europa postbellica e a spiegare, attraverso lo sguardo incerto di un'adolescente assetata di vita, il mi- to, personale e collettivo allo stesso tem- po, della fuga verso la terra promessa. Ilaria Rizzato Edith Bruck, Quanta stella c'è nel cielo, pp. 196, € 16,60, Garzanti, Milano 2009 Anita è un'orfana sopravvissuta ai campi di concentramento. Ha appena quindici anni quando lascia l'Ungheria per andare a stare dai parenti in una Ce- coslovacchia fredda e poco accoglien- te. Nella nuova casa l'attendono Monika, sorella della madre inna- morata della propria bel- lezza, suo marito Aron, spiritoso e bonario ma troppo amante del quie- to vivere, il neonato Roby, e soprattutto Eli, giovane che la guerra ha irrimediabilmente induri- to. All'interno della nuo- va famiglia Anita non tro- va l'affetto e la compren- sione sperati: la povertà ha reso avari e la perse- cuzione desiderosi di di- menticare in fretta l'orro- re, la sofferenza, persino le radici ebraiche. E cosi ogni ricordo della madre morta ad Auschwitz viene stroncato sul nascere, ogni riferimento ai Lager viene accolto con imbarazzo, co- me la gaffe di una ragazzina che non co- nosce le buone maniere, ogni tentativo di trovare comprensione eluso con pre- cipitoso fastidio. La stessa indifferenza, la stessa perseveranza nel non vedere ciò che accade sotto il proprio naso por- ta Aron e Monika a ignorare la relazione sbocciata fin da subito tra Eli e Anita, che si lascia iniziare al piacere con in- fantile avidità e incoscienza, sognando un sentimento eterno e idilliaco di cui l'a- rido amante non può essere capace. Malgrado l'intreccio amoroso piuttosto scontato e il fastidioso incensarsi della protagonista, il romanzo riesce a evitare i luoghi comuni che spesso infettano il Joseph Roth, Al bistrot dopo mezzanot- te. Un'antologia francese, ed. orig. 1999, trad. dal tedesco di Gabriella de' Grandi, Fa- brizio Rondolino, Flaminia Bassotti e Linda Russino, pp. 301, € 19, Adelphi, Milano 2009 Dopo gli articoli viennesi di II caffè del- l'undicesima Musa (2005), Adelphi pro- pone una nuova raccolta di Joseph Roth giornalista. Si tratta questa volta di reso- conti di viaggio e recensioni letterarie di ambientazione francese, oltre a un lungo saggio su George Clemenceau. Anche se alcuni di questi pezzi, a cura di Katha- rina Ochse, erano già stati tradotti in ita- liano in Ebrei erranti(1985; cfr. "L'Indice", 1985, n. 5) e in Le città bianche (1987), il libro offre un ritratto dello scrittore ancora in gran parte inedito. Roth si trasferisce a Parigi nel 1925, come corrispondente della "Frankfurter Zeitung". Attraversare ia Francia, in particolare le regioni medi- terranee, è il suo modo di riappropriarsi delle radici culturali comuni dell'Europa e dare forma all'utopia di un continente uni- to e in pace. A Parigi come a Marsiglia, a Lione come a Nizza, Roth prova a con- vincersi che "ogni luogo è patria". È per questo che più avanti, a spasso per la Provenza, gli viene in mente un verso di Mistral: "Razze? ma se di sole ce n'è uno solo". Il protagonista autobiografico dei suoi articoli - "perditempo" nel senso in cui lo sono i personaggi dei suoi romanzi - è però un viaggiatore che non si ac- contenta mai di soluzioni consolatorie e porta con sé una faticosa ricerca esisten- ziale: "Nessuna guida dà una risposta. Siamo qui per interrogare". Un'inquietudi- ne confermata dalla ripugnanza per lo spettacolo della corrida, cui Roth assiste a NTmes e descrive prendendo le parti del toro, quale simbolo del destino sacri- ficale del popolo ebraico. Per l'autore di Al bistrot dopo mezzanotte, l'identità è qualcosa che ormai va misurata da lonta- no, nella dimensione solitaria del distac- co. È soltanto andando via, infatti, che si può forse ritrovare un legame con "la pro- pria infanzia e quella dell'Europa". "Chi lascia il paese", spiega Roth, che qual- che anno più tardi sarà costretto all'esilio, "porta con sé ciò che di più prezioso una patria può donare: la nostalgia". Luigi Marfé James M. Barrie, My lady nicotine. storie di un fumatore incallito che ha smesso. ili. di Maurice B. Prendergast, ed. orig. 1895, trad. dall'inglese di Bianca Lazzaro, pp. 125, € 12, Donzelli, Roma 2009 Qualche anno prima di pubblicare la ce- leberrima storia di Peter Pan, James M. Barrie consegna alle stampe questo deli- zioso divertissement sulle proprie vicissitu- dini di fumatore accanito. La passione per il tabacco che, nonostante si affermi più volte il contrario, non pare affatto interiore per intensità e dedizione a quella per la propria donna, viene esaminata attraverso i molteplici aspetti della vita quotidiana del fumatore. Eventi e dettagli in apparenza fu- tili, che in realtà esprimono, con irresistibi- le senso dell'umorismo e sorprendente precisione, piccole manie e increspature del carattere che affliggono tutti, fumatori e non. La miscela e le pipe predilette, il sac- chetto per il tabacco, il tavolino da fumo, gli amici accomunati dallo stesso vizio, la moglie che invece l'avversa si avvicenda- no quali protagonisti di spassosi aneddoti destinati a conquistare le simpatie anche dei più accaniti oppositori della nicotina. Tanto più che la storia presenta un lieto fi- ne: per non perdere la donna che ama, lo sventurato tabagista riesce nell'impresa di vincere la propria debolezza, non senza un doloroso scontro con la propria indole e con la fiera e disperata opposizione dei compagni di fumo. D'altra parte l'ironia di cui è intrisa ogni pagina suscita più di un dubbio sulla costanza con cui l'ex fumato- re metta in atto i suoi virtuosi propositi. Il grazioso libricino è inoltre arricchito dalle illustrazioni del pittore americano Maurice B. Prendergast, create appositamente per l'edizione ottocentesca. (IR.) • «à o A) o Alessandro Cannevale, La foglia grigia, pp. 448, € 19, Einaudi, Torino 2009 Riscoprono volentieri la cronaca del XIX secolo, i nostri romanzieri. In Isole senza mare, di Antonella Cilento (Guanda, 2009), abbiamo seguito le vicissitudini tragicomi- che della collezione di Giampietro Campa- na, che diffuse tra le signore di tutta Euro- pa la mania dei gioielli simil-pompeiani; in questa Foglia grigia assistiamo a un altro contagio, più sotterraneo e dalle conse- guenze più terribili, che investe l'Italietta post-unitaria partendo dal remoto e favolo- so Messico. Proprio in Messico è andato a cercar fortuna, con un drappello di improv- visati coloni, il comandante Luigi Masi, re- duce dalla Repubblica romana del 1849. La sua intenzione era quella di arricchirsi con le piantagioni di vaniglia, ma alcuni dei suoi seguaci si sono imbattuti in un'altra pianta, dalle caratteristiche molto più inte- ressanti: la "foglia grigia", ben nota agli in- dios, che procura benessere a chi la ma- stica, ma suscita anche allucinazioni e può spingere a comportamenti violenti e crude- li. A vent'anni dall'avventura di Masi, nel 1877, uno dei suoi antichi compagni, Giu- lio Verbasco, diventato ispettore di pubbli- ca sicurezza a Perugia, si trova a indagare su una serie di delitti dietro i quali si profila l'azione di una misteriosa confraternita. Nell'enigma che si trova a risolvere, vedrà riaffiorare frammenti, difficili a decifrarsi, della sua stessa storia passata. Simpatica figura all'lngravallo, prodiga di proverbi e di interiezioni in puro dialetto ternano, Ver- basco deve fronteggiare, insieme all'azio- ne di uno spietato killer, la visita ufficiale a Perugia del poeta-professore Carducci, te- nuto d'occhio dalle autorità per i suoi tra- scorsi mazziniani, ma molto più attivo sul terreno erotico che su quello politico. Il rit- mo del racconto è quello forsennato e tra- scinante del feuilleton ottocentesco; degli effettacci più splatter si farebbe a meno vo- lentieri, ma li impone una moda editoriale di cui purtroppo siamo ancora lontani dal vedere la fine. Mariolina Bertini Martin Pollack, assassino del padre. Il ca- so del fotografo philipp halsmann, ed. orig. 2002, trad. dal tedesco di Luca Vitali, pp. 244, €22, Bollati Boringhieri, Torino 2009 Il 10 settembre 1928, durante un'escur- sione sulle vette del Tiralo, nella valle dello Ziller, il dentista lettone Max Halsmann ca- de in un dirupo. Il suo corpo presenta feri- te alla testa incompatibili con una sempli- ce caduta. Unico testimone dell'incidente è il figlio Philipp (divenuto nel dopoguerra uno dei più noti fotografi del mondo, ritrat- tista delle massime personalità del tempo), che fornisce alle autorità una ricostruzione confusa e viene arrestato il giorno stesso con l'accusa di parricidio. Inizia a Inn- sbruck uno dei processi più discussi di quegli anni. In un testo basato su ricerche d'archivio, a metà tra romanzo (riconduci- bile al genere del legai thriller) e ricostru- zione storica, Pollack ne ripercorre la vi- cenda: i due gradi di giudizio, le richieste di invalidazione e le istanze di grazia. Ne esce il ritratto di un processo per l'epoca sorprendentemente strutturato: il susse- guirsi di colpi di scena e lo straordinario in- teresse popolare rimanda ai processi "me- diatici" dei giorni nostri, mentre l'ombra dell'antisemitismo - gli Halsmann sono ebrei in un'Austria sempre più influenzata dai venti xenofobi della vicina Germania - rimanda ai contorni di un processo politi- co. Un dibattimento controverso, dove i giurati che dapprima condannano in se- guito sottoscrivono la richiesta di grazia, dove il principio giuridico dell 'in dubio prò reo è sistematicamente disatteso, dove trovano spazio persino considerazioni di natura epistemologica (la corte discute lungamente se per la perizia sul carattere dell'imputato sia più adeguata la scienza psicologica o la nascente psicoanalisi) e che vede intervenire nel dibattito, a favore dell'imputato, le più importanti personalità del tempo: da Thomas Mann a Sigmund Freud, da Albert Einstein a Erich Fromm. Tazio Brusasco Ben Pastor, La morte, il diavolo e mar- tin Bora, trad. dall'inglese di Judy Faellini e Paola Bonini, pp. 286, € 18, Hobby & Work, Milano 2009 Da Lumen (2001) a La Venere di Salò (2006), il lettore ha potuto seguire le vicen- de poliziesche dell'ufficiale della Wehrma- cht Martin Bora attraverso narrazioni esclu- sivamente di ampio respiro, che accoglie- vano intrecci complessi e accurate analisi psicologiche. Allo stesso personaggio, l'ul- timo lavoro di Ben Pastor riserva poco più di cento pagine, affidandogli tre casi che diventano altrettanti racconti capaci di re- plicare, in scala ridotta, lo schema narrati- vo dei trascorsi romanzi. Il primo è am- bientato in Ucraina, un mese dopo l'inizio dell'Operazione Barbarossa. Ruota attorno al ritrovamento del cadavere della prostitu- ta di un villaggio in cui si trova a studiare il folclore locale Vladimir Propp. Considerato il suo ruolo nella vicenda, l'autore della Morfologia della fiaba non avrebbe esitato a definire se stesso, in questo caso, un "aiutante" dell'eroe. Teatro del secondo racconto è Praga nel 1942 e Martin Bora indaga sull'assassinio di un informatore ci- vile del Reich, mentre un attentato uccide il gerarca nazista Heydrich. L'Appennino nord-occidentale nel corso del 1944 è sfondo all'ultima storia che, a quattro omi- cidi, unisce la cattura di alcuni partigiani e uno scambio di persona. L'altra novità di questo testo si rintraccia nelle restanti due sezioni, costituite da un mannello di rac- conti ambientati in tempi e luoghi lontani da Martin Bora ma a lui legati dal fil rouge della guerra: dal fronte italiano nel corso del primo conflitto mondiale alla Sarajevo in fiamme, dalla Milano secentesca e ap- pestata alla turca Gallipoli nel 1915. Qui, accanto a storie tinte di giallo, si affastella- no racconti di altro genere, qualificabili co- me ghost stories, con il risultato di una mi- scellanea che manca di sufficiente robu- stezza per brillare di luce propria. Rossella Durando