N. 12 22 Storia Da Turati a Craxi di Marco Scavino Paolo Mattera STORIA DEL PSI 1892-1994 pp.239, €17, Carocci, Roma 2010 Compendiare in un nume- ro limitato di pagine una vicenda lunga e complessa co- me quella del Partito socialista italiano, iniziata a fine Otto- cento nell'Italia monarchica e liberale, e conclusasi un secolo esatto più tardi, nel tracollo del sistema dei partiti nato dalla Resistenza, quando si iniziò a parlare di fine della "Prima re- pubblica", non era certo un'im- presa facile. Paolo Mattera - giovane ricercatore dell'Univer- sità di Roma Tre, già noto per al- cuni studi in materia, tra i quali Il partito inquieto. Organizzazio- ne, passioni e politica dei sociali- sti italiani dalla Resistenza al mi- racolo economico (Ca- rocci, 2004) - ci è riu- scito brillantemente, ricostruendo quella vi- cenda in maniera ana- litica, passo dopo pas- so, a partire dalla fon- dazione del partito nel 1892 (cioè in un con- testo sociale ancora fortemente arretrato, antecedente i processi di industrializzazione e di modernizzazione del paese) e arrivando sino alla sua dissolu- zione, nei primi anni novanta del secolo scorso, in una realtà total- mente mutata sotto ogni profilo (economico, politico-istituziona- le, culturale). Si tratta dunque di un'opera di sintesi, pensata (come l'intera collana dei "Quality Paper- back^" in cui compare) per un pubblico largo, non di soli spe- cialisti, o per gli studenti univer- sitari dei corsi di laurea trienna- li: non ci sono, cioè, note al te- sto, né un'introduzione critica, e la bibliografia finale risulta obiettivamente un po' scarna, se commisurata con la vastità del- l'argomento e della letteratura esistente (avendo scelto, come avverte Mattera, "di indicare so- lo alcuni lavori di orientamento generale sul tema e opere da cui sono tratte le citazioni"). Cionondimeno 0 volume è di notevole interesse, non so- lo per il fatto di costituire la pri- ma storia complessiva del Psi con queste caratteristiche di di- vulgazione, ma anche per il ten- tativo, da parte dell'autore, di legare strettamente quei cento anni di storia del socialismo ita- liano a un insieme di considera- zioni sulle trasformazioni vissu- te in quell'arco di tempo dalla società italiana. Se per un verso, quindi, l'asse portante della narrazione consiste nella rico- struzione delle vicende politi- che, che videro il Psi tra i mag- giori protagonisti della vita pubblica nazionale (e quindi, in ultima analisi, consiste anche nella storia dei suoi gruppi diri- genti, delle ideologie circolanti al loro interno, delle scelte che essi operarono nei diversi fran- genti politici), per l'altro verso Mattera non ha trascurato di fa- re riferimento a come siano mu- tati, nel corso del tempo, tanto gli scenari sociali entro i quali il Psi operava, quanto, di conse- guenza, le forme dell'azione po- litica collettiva, i linguaggi della comunicazione e della mobilita- zione di massa, le modalità stes- se di rappresentazione degli in- teressi sociali. Apprezzabile anche per la chiarezza della scrittura, il volu- me presenta tuttavia alcuni limi- ti, forse inevitabili nell'ambito di un'opera così ambiziosamen- te, e a vastissimo raggio, conce- pita. Al di là di un certo squili- brio nella distribuzione della materia (la parte più dettagliata è senza dubbio quella in cui l'autore si è avvalso del suo pre- cedente lavoro sul Psi dalla Re- sistenza al miracolo economico) e di qualche piccola lacuna (co- me quella relativa alla crisi poli- tica e ideologica che accompagnò la nascita dello stato di Vichy, sicché di un personag- gio come Angelo Ta- sca, indicato tra i mas- simi dirigenti del Psi in esilio alla fine degli anni trenta, si perdo- no improvvisamente e senza spiegazione le tracce), a colpire è so- prattutto il quadro in- terpretativo d'insieme. Si ha l'impressione, infatti, che l'auto- re, volendo raccontare la storia di un partito che ha interagito, come si legge nella quarta di co- pertina, "con i profondi muta- menti della società italiana", ab- bia finito per assumere quei mu- tamenti come un fatto oggetti- vo, un processo di sviluppo del paese dalle modalità quasi ine- luttabili e scontate, anziché por- selo come problema storico, at- torno al quale articolare anche un giudizio sul ruolo del Partito socialista. Da qui il ricorrere nel testo di immagini retoriche come quella delle "occasioni perdute" (un errore che avrebbero compiuto, curiosamente, tanto Filippo Tu- rati di fronte alla crisi dello sta- to liberale, quanto Bettino Craxi ai primi segnali di esauri- mento del sistema dei partiti nell'età repubblicana); da qui, quindi, anche il carattere un po' assiomatico di alcuni passaggi, che avrebbero invece meritato qualche spiegazione in più (a proposito degli anni ottanta del secolo scorso, ad esempio, si legge che "la trasformazione della società rendeva sempre VENTANNI IN CD-ROM L'Indice 1984-2004 Per acquistarlo: tel. 011.6689823 abbonamenti @ lindice.net meno efficaci i due strumenti ti- pici dei partiti del XX secolo: l'ideologia e l'organizzazione sul territorio"); e da qui, più in generale, una certa tendenza a spiegare l'intera storia del so- cialismo - non solo italiano, si direbbe - a partire dai suoi esi- ti conclusivi, cioè dal fatto che negli ultimi decenni del Nove- cento esso abbia finito per inte- grarsi totalmente nel sistema so- ciale capitalistico e nelle forme dominanti della democrazia rappresentativa, rinunciando in maniera più o meno aperta alle proprie originarie motivazioni. Ma questo, appunto, è un pro- blema storico in larga parte an- cora da indagare (anzi: è senza dubbio uno dei grandi "nodi" della storia del Novecento), non un mero dato di fatto che non esige spiegazioni. Così come stupisce un po' che l'autore - così attento al rapporto del Psi con il mutare dei contesti sociali - abbia fatto riferimento solo episodicamen- te (e tutto sommato in maniera incidentale) alle dinamiche del- la lotta sindacale e, più in gene- rale, all'andamento dei conflitti di classe, che pure furono a lun- go al centro dell'elaborazione progettuale socialista; un limite di prospettiva che risulta parti- colarmente evidente allorché il volume affronta gli anni settan- ta, sempre dello scorso secolo (cioè il periodo storico aperto dalle grandi lotte sociali del biennio 1968-69), ricostruen- done tutte le principali vicende politico-istituzionali e coglien- done bene il carattere di svolta, che esso ebbe per il Psi, ma senza riuscire a rendere appie- no la complessità e la contrad- dittorietà della crisi economica e sociale di quel decennio. A destare qualche perples- sità, inoltre, è la parte conclusi- va del libro, che risulta inevita- bilmente ricalcata su fonti qua- si esclusivamente giornalistiche e che sembra risentire troppo del carattere tuttora aperto di molte questioni toccate (in pri- mis le ragioni e le esatte moda- lità della cosiddetta crisi della cosiddetta Prima repubblica, su cui in realtà sappiamo anco- ra molto poco e rispetto alle quali la ricerca storica è appena agli inizi). Né sembra giustifi- cato, a questo proposito, il si- lenzio sul fatto che oggi l'Italia sia l'unico paese europeo in cui non esiste più un partito di massa di matrice socialdemo- cratica o laburista. Fra le tante "anomalie", vere e presunte, del nostro paese, non si tratta certo della meno significativa. Al di là di questi rilievi, la pub- blicazione del volume è comun- que da salutare senz'altro con fa- vore, non solo perché ci offre per la prima volta un quadro d'insie- me della storia del Psi (intesa, proficuamente, come chiave di lettura fondamentale delle vicen- de dell'Italia contemporanea), ma anche per la ricchezza delle riflessioni storico-politiche alle quali l'opera si presta. Un contri- buto importante, insomma, e che pare indicare la necessità, sem- pre più evidente, di nuovi studi e di nuove ricerche. ■ marcoscavino®libero.it M. Scavino insegna storia contemporanea all'Università di Torino Scoprir tracce e seguir piste di Marco Gervasoni Michele Battimi IL SOCIALISMO DEGLI IMBECILLI Propaganda, falsificazione, persecuzione degli ebrei pp. 293, € 18, Bollati Boringhieri, Torino 2010 Qualcuno si sarà certo chiesto come mai una parte dei negazionisti "storici" venga dall'estrema sinistra, in particolare dalle eresie del bolscevismo, trockismo e bor- dighismo. Tanto che c'è da chiedersi se non esista un filo comune che lega anticapitali- smo e antimperialismo da un la- to e antisemitismo dall'altro. Il tema è stato studiato molto, an- che se non da lungo tempo: per la Francia i lavori di Zeev Sternhell risalgono alla fine de- gli anni settanta, e allora ebbero un effetto di rottura importante, al di là di non pochi schematismi dello sto- rico israeliano. Eppu- re il socialismo, sia quello precedente alla II Internazionale sia quello della Belle Epoque, si trovò non poco ad avere a che fare con l'antisemiti- smo. Non a caso, quella che ispira il titolo al li- bro di Battini è appunto una fra- se attribuita al leader della so- cialdemocrazia tedesca della fine XIX secolo, August Bebel, se- condo cui l'antisemitismo era "il socialismo degli imbecilli". L'antisemitismo che si trovava- no di fronte Bebel in Germania, Viktor Adler in Austria e Jean Jaurès in Francia era infatti un movimento non solo assai robu- sto, capace di spingere alla mo- bilitazione delle piazze, ma an- che in grado di rivolgersi alla clientela politica socialista, le masse operaie e contadine, per- ché ricco di una retorica antica- pitalistica. Antisemitismo e anti- capitalismo, anzi, sembravano in quel periodo più intrecciati che mai. È all'origine e allo svolgersi genealogico di questo intreccio che è dedicata larga parte del vo- lume, mentre l'ultima sezione tratta di questioni comunque at- tinenti come la Shoah e il nega- zionismo. C>n un metodo esplicitamen- e debitore nei confronti di Carlo Ginzburg, tutto volto a scoprire tracce e a seguire piste apparentemente secondarie, Battini mostra come l'origine dell'antisemitismo moderno va- da cercato nella reazione alla Ri- voluzione francese e in partico- lare all'universalismo politico e all'individualismo religioso, mo- rale ed economico, introdotti dai "grandi principi" dell'89 (e dal codice napoleonico). In que- sta reazione, l'ebreo diventò il simbolo dell'individualismo sganciato dalla religione e so- prattutto del capitale senza terra e senza volto, a cui gli antisemiti anteposero una comunità resa coesa dalla religione, dalla razza ma anche dal controllo sugli strumenti della ricchezza. Con molte ragioni, Battini trova le tracce di questo discorso nel controrivoluzionario Bonald e in particolare in un suo testo poco conosciuto, Sur les juifs (1806). La catena significante antise- mita naturalmente evolve e si potenzia via via che il capitali- smo si diffonde in Europa, fino a esplodere nella Belle Epoque, con Edouard Drumont in Fran- cia, e tutto l'antisemitismo cri- stiano-sociale in Germania, ma soprattutto nell'impero austro- ungarico, a cominciare da Vien- na. In mezzo, diversi socialisti, da Fourier al caso più noto di Proudhon, passando per 0 pri- mo vero autore compiutamente antisemita, il fourierista Alphon- se Toussenel autore di Les juifs rois de l'époque (1847), socialista militante durante la rivoluzione del '48 in Francia. Questo spiega come mai, nella Francia fin-de- siècle dell'affare Dreyfus, Jaurès, venuto al socialismo dopo essere stato de- putato repubblicano moderato, dovette fa- ticare non poco per spingere i suoi compa- gnons a manifestare per la causa del capita- no ebreo, mentre il marxista Jules Gue- sde, il genero di Marx Paul Lafargue, e so- prattutto i blanquisti, erano convinti che la campagna "filo-semita" avrebbe allontana- to le masse operaie dai socialisti. In tal senso, anche se Marx e il marxismo delle origini polemiz- zarono con l'antisemitismo, non si può dire che abbiano comple- tamente anestetizzato i socialisti dalla tentazione antisemita. Co- me si vede nel caso di Paolo Orano, a cui Battini dedica un intero capitolo, che, da sindaca- lista rivoluzionario, lettore dei testi di Marx, fu colui che nell'I- talia giolittiana importò il para- digma dell'antisemitismo come socialismo nazionale, per diven- tare ovviamente fascista pochi anni dopo. Per non citare poi il caso più famoso, quello di Geor- ges Sorel, acuto lettore di Marx, A cui antisemitismo non aveva nulla a che fare con quello di Drumont e di Maurras, ma che comunque antisemitismo era, tanto da essere sia pure per po- chi anni tentato dal potente di- scorso dell'Action frammise. Il processo si ferma con la Grande guerra, ma sarebbe in- teressante saperne di più (gli sguardi in avanti di Battini ri- guardano solo casi marginali). E magari ci si potrebbe avvici- nare alla più stretta contempo- raneità e chiedersi come mai, negli ultimi decenni, la sempre più marcata ostflità della sini- stra (non solo quella italiana e non solo quella estrema) nei confronti di Israele abbia, più o meno involontariamente, aper- to le porte a retoriche che al- bergavano negli anfratti delle memorie più lontane. ■ magerva@alice.it M. Gervasoni insegna storia contemporanea all'Università del Molise