Filosofia Saggista, traduttore, insegnante, collaboratore dell'Einaudi, teorico e militante pacifista, Renato Solmi sollecita i movimenti non violenti ad agire diretta- mente nella politica. In questa pagina viene analizzata la sua visione civica e problematica della nonviolenza che ridisegna anche il ruolo dell'intellettuale. L'Internazionale pacifista di Enrico Peyretti Mezzo secolo di scritti di Giulio Schiavoni Renato Solmi AUTOBIOGRAFIA DOCUMENTARIA Scritti 1950-2004 pp. 836, €60, Quodlibet, Macerata 2007 Conosco Renato Solmi da circa una dozzina di an- ni, da quando ci siamo incon- trati nell'interesse e nel lavo- ro comune attorno alla cultu- ra e ai movimenti della non- violenza positiva e attiva. Mi limito ad alcune osservazioni su questo aspetto dei suoi scritti filosofici, editoriali, scola- stici, storici, qui raccolti. Egli stesso, al termine della prefazio- ne, dichiara la speranza che que- sto suo libro non appaia soltanto "rivolto verso il passato", perché egli "da un certo numero di anni" vuole affacciarsi "sulla linea più avanzata del fronte che separa il passato dal futuro, o, se si preferisce, la salvezza dalla catastrofe": questa linea è per Solmi la ricerca e l'azione non- violenta. "Le problematiche teoriche e le iniziative di carattere pratico (...) di questi movimenti non mi sono del tutto estranee", dice con grande modestia, e spera che militanti e personalità della nonviolenza possano presto "esercitare una funzione di guida e, insieme, di collegamen- to col mondo della politica vera e propria, che necessita più che mai, oggi (...), di un rinnova- mento radicale" dei quadri, dei metodi, delle prospettive: "una rivoluzione in piena regola, di portata difficilmente concepibi- le, il cui giorno non dovrebbe essere lontano". Oggi una tale speranza può sembrare meno vicina, davanti alle nuove violenze del secolo XXI, ma questa conclusione di Solmi ci invita a riflettere sulle linee di fondo della storia, che tante volte emergono anche in modo imprevisto (come le rivo- luzioni nonviolente del 1989, modello per altre successive esperienze, e l'uscita con saggez- za e senza la prevista violenza del Sudafrica dall'apartheid). L'idea di rivoluzione, che aveva per decenni orienta- to l'osservazione di questo stu- dioso e amico, gli si presenta ora possibile e necessaria come libe- razione ed emancipazione stori- ca dell'agire politico dall'uso sistematico della violenza, a quell'agire finora incorporato, spesso anche negli stati dalla forma democratica. Perciò oggi Solmi sollecita i movimenti nonviolenti ai quali partecipa ad agire direttamente nella politica. Intanto, egli conti- nua la sua opera di traduttore, volgendo in italiano i maggiori autori della peace research inter- nazionale. Senza dimenticare l'articolazione tra i movimenti e la politica istituzionale attraver- so i partiti, questa sua sollecita- zione è certamente preziosa. Vedo in questo suo impegno attuale uno sbocco del suo cam- mino intellettuale e pubblicisti- co, ampiamente documentato negli scritti raccolti in questo poderoso volume. Infatti, nell'ultima pagina del libro, Solmi, pur grato e ammi- rato per quelli tra gli intellet- tuali comunisti della sua gene- razione che svolgono una fun- zione critica preziosissima, dice che la maggior parte di loro, dopo il tracollo politico del- l'Urss, non avrebbero "avuto il tempo e la capacità di far fron- te con una coscienza pienamen- te adeguata alla sfida rappre- sentata da questi nuovi svilup- pi" e "ai termini in cui si pon- gono attualmente i problemi della lotta per la pace e per la giustizia sociale nel mondo". Nei movimenti nonviolenti egli vede prefigurato "l'avvento di una nuova Internazionale paci- fista e nonviolenta, aliena da ogni forma di costrizione, ma non meno saldamente coesa e compatta di quelle che l'aveva- no preceduta". Esplicitando questi spunti, possiamo dire che la pro- spettiva è quella del socialismo gandhiano, fondato sulla rifor- ma morale, culturale, struttura- le, e non sulla costrizione. La nonviolenza genuina, quella che interessa a Solmi, non è la sola astensione dalla violenza, ma qualcosa di positivo: una forma di lotta con le forze umane della volontà, della resistenza, dell'u- nità, dell'amore per l'umanità, dell'agire concertato nella politi- ca; è il programma costruttivo per togliere le violenze struttura- li e culturali dalla società, più profonde e gravi della stessa vio- lenza diretta. Sono pochissimi gli intellet- tuali che hanno compreso come Solmi il ruolo della politica nonviolenta nel nuovo tempo storico. In questo volume, spe- cialmente nella lunga sezione (quasi trecento pagine di saggi, rapporti e traduzioni pubblicati tra il 1965 e il 1976, più uno del 2000) su La nuova sinistra ame- ricana, la guerra del Vietnam e lo sviluppo dei movimenti pacifi- sti, l'autore presta già attenzio- ne agli aspetti nonviolenti dei fenomeni studiati. Chiama dap- prima "simboliche" le azioni dimostrative nonviolente, ma registra l'uso del metodo del consenso, parla di "rivoluzione nonviolenta", di "esercito non- violento", di "rivoluzione inte- riore", studia l'obiezione di coscienza, dedica spazio alla "questione della nonviolenza": Solmi conclude giudicandola un mezzo adeguato agli obietti- vi limitati di quelle lotte per i diritti civili, ma non alla "pro- spettiva di una rivoluzione vera e propria, che implica la neces- sità di gestire il potere in un ambito più o meno vasto, e quindi anche l'eventualità del ricorso alla violenza". Poi registra "alcuni limiti chia- ramente individuabili" del movi- mento per la pace negli Stati Uniti, "incapace di andare alla radice del problema", perché, tendendo a isolare l'aspetto della paura atomica, "si presta difficil- mente a fornire la premessa di un'azione politica rivoluziona- ria". Ma la guerra del Vietnam, toccando più direttamente le coscienze, "stringe in modo indissolubile i diversi aspetti della situazione storica interna- zionale" e permette una certa continuità e rapporto fra la tra- dizione rivoluzionaria socialista e i movimenti nuovi che si svi- luppano in questa fase in Ameri- ca e altrove, a componente anti- militarista e pacifista. In questi movimenti, le forze costruttive della coscienza personale, colti- vate soprattutto nelle chiese dis- sidenti o minoritarie, si ergono contro la guerra, così come si sono levate contro la discrimina- zione razziale: il loro gesto emi- nente è l'obiezione di coscienza. Ora, questa obiezione è la radice della scelta attiva nonviolenta. Negli scritti di quegli anni, Solmi coglie elementi che vedre- mo svilupparsi, seppur contra- stati, fino a oggi. A questi testi lontani vorrei accostare, sul tema, un intervento più recente di Solmi, comparso in appendi- ce a un volumetto che raccolsi nel 1999, con- tro la guerra Nato-Ser- bia (Per perdere la guerra, Beppe Grande, 1999). In quelle pagi- ne, Solmi replicava a quella che gli pareva una condanna assoluta, senza eccezioni, della guerra, rivendi- cando il diritto di difesa, anche armata, di un popolo aggredito. Il suo interesse per la nonviolen- za, mi pare, contiene anche oggi questa riserva. E noto che Gandhi stesso incita a ribellarsi con la violenza a una violenza, piuttosto che subirla, che sareb- be viltà e collaborazione passiva. Ma nello stesso momento indica una terza via tra viltà e violenza, che è la resistenza e la lotta non- violenta, certamente da costruire per tempo nelle menti, nelle strutture, nelle esperienze. Il punto è qui: doverosa è l'azione di difesa della dignità offesa (propria o altrui), condannabile l'inazione; l'azione, poi, sarà vio- lenta o nonviolenta secondo che siamo impreparati, costretti a ripetere l'aggiunta di violenza a violenza, oppure preparati a quella rivoluzione storico-politi- ca che sola può condurre l'uma- nità fuori dalla catastrofe predi- sposta dalla vecchia logica distruttiva. Insomma, Renato Solmi ci insegna che se la nonviolenza non è anche critica, autocritica, problematica, perciò anche politica, rischia di rimanere retorica. ® e.pey? libero.it E. Peyretti collabora col Centro studi "Domenico Sereno Regis" di Torino Nasce come un "omag- gio" degli amici per i suoi ottant'anni questo libro (a cura dell'Associazione cul- turale Michele Ranchetti) che raduna le pagine edite in oltre mezzo secolo da Renato Sol- mi, uno studioso certamente schivo ma che non si è mai defi- lato rispetto alle grandi questio- ni e alle grandi figure del pensie- ro critico contemporaneo, e che ha saputo guardare alla "vita offesa" dell'epoca moderna (per riprendere una formulazione di Adorno a lui cara) senza indul- gere a sconti. Nato nel 1927 ad Aosta, dopo gli studi a Milano, la laurea in storia greca e un anno trascorso a Napoli presso l'Istituto italiano per gli studi storici, Solmi fu chiamato a ven- tiquattro anni dalla casa editrice Einaudi, da cui sarebbe stato allontanato nel 1963 per diver- genze sulle scelte editoriali (epi- sodio rievocato nel saggio I miei anni all'Einaudi), per dedicarsi quindi per circa un trentennio all'insegnamento di storia e filo- sofia nei licei di Torino e Aosta, restando in pari tempo impegnato sul fronte della saggistica politica e della tradu- zione di importanti autori. Le prime tre sezioni del volume riguarda- no gli anni della for- mazione (1950-1955), l'interesse per la filo- logia classica, il con- fronto (negli interven- ti sulla rivista "Discussioni") con il marxismo antidogmatico e l'impegno contro lo stalinismo allora imperante, l'attenzione per alcune voci della cultura ita- liana, come Ernesto De Martino, Giaime Pintor e Norberto Bob- bio, ed europea (Thomas Mann e ll'ja Erenburg). Decisivi per il loro carattere storico-documentario e teorico sono, nella quarta sezione, gli scritti relativi ad autori della Scuola di Francoforte (Adomo, del quale Solmi seguì i corsi negli anni 1956 e 1957, Marcuse, Benjamin), maturati sovente dal confronto-dialogo con il grande germanista Cesare Cases. Fra di essi figurano alcune celebri intro- duzioni: quella dedicata ai Mini- ma moralia di Adomo (Einaudi, 1955) e quella dedicata alla fortu- nata e pionieristica antologia Angelus Novus di Benjamin (Einaudi, 1962). Né poteva man- care la replica all'accusa di atteg- giamento censorio nell'edizione italiana dei Minima moralia rivol- tagli dalla rivista "L'erba voglio" di Elvio Fachinelli: uno "scanda- lo largamente infondato", poiché E taglio di un quarto rispetto all'edizione originale si impose per ragioni editoriali e fu concor- dato con lo stesso Adomo. Più legati alla vicenda di inse- gnante sono gli scritti della sezio- ne successiva (1972-1987), dedi- cati alla Contestazione nella scuo- la, in cui è possibile ripercorrere le ansie e i fermenti innovativi del '68 e insieme il mancato adempimento di tante speranze. Un'opportuna integrazione appaiono qui le straordinarie riflessioni sull'Ahicì della guerra di Brecht (Einaudi, 1975): il monito di questo scritto brech- tiano è che la pace - scrive Solmi - "non è una condizione acquisi- ta, ma un risultato da raggiunge- re", che l'imperialismo "contiene in sé la guerra come la nube con- tiene l'uragano" e che "la pro- spettiva della pace è inseparabile da quella del socialismo". Parole che ben introducono la penultima sezione del volume, composta in larga parte di scritti pubblicati sui "Quaderni pia- centini": La nuova sinistra ameri- cana, la guerra del Vietnam e lo sviluppo dei movimenti pacifisti (1965-2000), sulla quale inter- viene in questa stessa pagina Enrico Peyretti. Lo scritto di chiusura (Dalli al prussiano!) è dedicato alla figura di Clau- sewitz, di cui Solmi, in polemica con uno scritto di Gian Enrico Rusconi, non manca di eviden- ziare i tratti di cosmpopolitismo, a dispetto dell'apparente prus- sianesimo. La sezione conclusiva, Sguardi sul passato, presenta le rievoca- zioni commosse di figure come Sergio Caprioglio (collega all'Ei- naudi e studioso di Gramsci), Luciano Amodio (guida alla let- tura di Hegel), il padre Sergio Solmi, E "grande maestro" Ador- no, e ripercorre esperienze politi- che come queHa dei "Quaderni rossi", che seppe essere "stimolo e ingrediente decisivo" di quella "miscela esplosiva" che avrebbe dato luogo alla presa di coscienza e alla mobilitazione del '68. Un'idea serpeggia per tutto il volume, come suo filo rosso più o meno esplicito: quella dell'intellettuale come soggetto in grado di "tenere insieme unite e distinte la figura dello scrittore e quella del mEi- tante" e di partecipare alla "lotta comune di liberazione dell'umanità dallo stato di sog- gezione e di divisione^ in cui si trova attualmente". E un'idea molto vicina al vissuto di tanti intellettuali e personaggi rievo- cati nel libro, e in particolare alla figura di Raniero Panzieri, sentita come ancora estrema- mente attuale in anni nei quali "una grave cappa di inerzia e di rassegnazione, un clima soffo- cante di ottusità e di atonia, sembra quasi paralizzare noi stessi e la maggior parte dei nostri conoscenti: al punto da farci desiderare che qualcuno possa tornare, come lui, (...) a risvegliare in noi le energie sopite e la coscienza di ciò che sappiamo e ci sforziamo invano di dimenticare". ® giulio.schiavoni?lett.unipmn.it G. Schiavoni insegna letteratura tedesca all'Università di Vercelli ----— ' ; : 7 KfvythsntNU