N. 5 Andreina Draghi, Gli affreschi dell'aula gotica nel monastero dei santi quattro Coronati. Una storia ritrovata, introd. di Fracesco Gandolfo, pp. 436, ili. 411, € 75, Skira, Ginevra-Milano 2007 il 29 ottobre 1999 "Il Venerdì di Repub- blica" annunciava per primo il "miracolo romano", ovvero la scoperta di un vasto ciclo pittorico medievale nel monastero dei Santi Quattro Coronati, e con l'avallo dell'aliora ministro Melandri ne promette- va la conclusione del restauro e la prossi- ma apertura al pubblico. Questo volume offre le immagini finora inedite dello straordinario complesso, inaugurato dal ministro Rutelli il 5 dicembre 2006: ralle- grarsi del "meglio tardi che mai" sarebbe ingeneroso verso l'amministrazione, che patisce un'inaccettabile cronica carenza di fondi, anche in questo caso fra le cause del lento avanzamento dei lavori. Andrei- na Draghi è la funzionaria che ha gestito il cantiere e qui presenta il grande ciclo, preservato per secoli dalla clausura. Introdotto da Francesco Gandolfo, il pro- gramma è minutamente descritto nelle sue componenti, il calendario dei mesi e le stagioni, le arti liberali, i vizi e le virtù, lo zodiaco e le costellazioni, organizzate da ricche decorazioni architettoniche entro il più imponente ambiente monastico. L'im- peccabile veste editoriale e il corredo ico- nografico di ottimo livello fanno familiariz- zare con questa enciclopedia medievale illustrata, che, dipinta fra il 1235 e il 1253- 54, colma quella che fino a non molti anni fa era ritenuta una lacuna nella continuità storica della pittura romana. Arricchisco- no il volume le note di Claudio Noviello sull'apparato epigrafico, quelle di Giusep- pina Filippi Moretti sulle vicende costrutti- ve della cosiddetta Aula gotica, e soprat- tutto quelle di Francesca Matera che ha eseguito il restauro. Se non era facile "riu- nire" un tessuto pittorico interessato da lacune di tipo ed entità diversi, l'osserva- zione dell'uso in parete di grate di propor- zionamento, "sesto", "patroni", sagome e mascherine decorative, nonché la conse- guente necessità di un rigoroso progetto su carta, arricchiscono le nostre cono- scenze su ordine e modi esecutivi di pit- ture murali e affreschi medievali. Alessio Monciatti Cesare, ponendo l'accento sul simbolismo ornamentale e i rapporti tra l'arte pubblica e privata dei Romani. L'autore non intende fare un trattato sistematico sul secondo stile, ma rivolge l'attenzione all'analisi delle decorazioni pittoriche delle ville "di P. Fan- nio Sinistrare" a Boscoreale e "di Poppea" a Oplontis (Torre Annunziata), valutando- ne il contenuto allegorico e il legame fra il tema delle pitture e il pensiero politico e filosofico deli'élite che le ha commissiona- te, di cui faceva parte lo stesso Cicerone. Con il preciso ricorso alle fonti scritte e il confronto con altre attestazioni archeologi- che, Sauron esamina approfonditamente i soggetti delle pitture parietali in tutte le loro componenti, a volte dimenticando la limitatezza numerica del patrimonio pittori- co noto e presumendo di poter interpreta- re in maniera univoca il pensiero degli antichi attraverso la lettura degli autori, portavoce arbitrari del loro tempo. La ricerca di significati allegorici delle imma- gini non sembra tener conto del principio di funzionalità importante per i Romani, che affiora invece dall'analisi del contesto architettonico. In conclusione, il procedere analitico di Sauron, che ricorre a esempi puntuali per sostenere le proprie ipotesi, presenta il secondo stile allegorico come un fenomeno generazionale, nato per rea- zione degli aristocratici ai tragici eventi delle guerre civili. Paola Da Pieve avvince il lettore specialista, delimitando il campo con definizioni precise, come quel- la della differenza tra "particolare" e "det- taglio", l'uno più funzionale alla resa della realtà imitata e l'altro piuttosto votato all'autonomia, alla contemplazione specifi- ca, che ci apre al significato più profondo dell'opera. Ritroviamo nel testo la spiega- zione del dettaglio scelto per la copertina del libro, la mosca sul costato del Cristo in pietà del Museo nazionale di Budapest, e, ormai conquistati dal metodo dell'osserva- zione minuziosa, non ci sfugge il grossola- no lapsus del risvolto di copertina, che attribuisce il dipinto a Giovanni Bellini inve- ce che a Giovanni Santi; scoviamo infine fastidiosi refusi e non ci spieghiamo l'as- senza di strumenti quali un indice delle illustrazioni e una presentazione dell'edi- zione italiana. Sono solo dettagli? Sì, ma a cui non possiamo più rinunciare. Silvia Silvestri Gilles Sauron, La pittura allegorica a Pompei. Lo sguardo di Cicerone, ed. orig. 2007, trad. dal francese di Marianna Castraca- ne, pp. 223, € 80, Jaca Book, Milano 2007 Gilles Sauron, professore di archeologia romana alla Sorbona di Parigi, si sofferma sulle fasi iniziali del "secondo stile pom- peiano", dall'epoca sillana all'assassinio di Daniel Arasse, IL dettaglio. La pittura vista da vicino, ed. orig. 1996, trad. dal fran- cese di Aurelio Pino, pp. 412, 18 ili. col., 160 b/n, €25, Il Saggiatore, Milano 2007 Dove e con che frequenza ricorre il nostro incontro con l'arte? Come possia- mo fruire appieno della visione di un'ope- ra d'arte dal vivo? E soprattutto, come osservare un dipinto? Da lontano, se cer- chiamo di cogliere l'unità della composi- zione. Da vicino, inevitabilmente, se vogliamo godere del piacere del dettaglio (e se la collocazione lo consente). Oppu- re ricorrendo alle numerose immagini pro- dotte con le più varie tecniche, avvertiti però da Walter Benjamin sul rischio di perdita dell'aura" dell'opera d'arte. Illu- strazioni e tavole, in cui si alternano ripro- duzioni integrali e parziali di opere com- prese tra il XV e XIX secolo, non mancano in questo testo di Daniel Arasse (1944- 2003), storico dell'arte francese dedito a studi sul Rinascimento italiano e sulla pit- tura fiamminga del Seicento. Con l'estre- ma varietà degli esempi proposti, slegati da un filo cronologico, e la libertà di asso- ciazione degli stessi, funzionale allo svi- luppo dei temi dibattuti (Contraddizioni, Dispositivi, Paradossi, Intimità), l'autore piranesiana della serie italiana: la vastità dell'enorme volta sovrasta le comitive di visitatori, moderni pellegrini, procurando una sottile inquietudine. Nel corso degli anni novanta le narrazioni si fanno globali e Struth scatta non di rado in Asia (ma pure negli Stati Uniti o in Australia). Si sof- ferma sulle trasformazioni delle città e del paesaggio, sugli enigmi dell'attenzione, sul desiderio edenico suscitato dalla natu- ra. Soggioganti per dimensioni, le immagi- ni confermano lo status di global player conseguito dall'artista. A tratti si è però come sfiorati dal sospetto di un'impecca- bile routine. Il volume è il catalogo della mostra al madre di Napoli (gennaio-aprile 2008). Michele Dantini Thomas Struth, a cura di Mario Codognato, pp. 135, €35, Mondadori Electa, Napoli 2008 Le prime foto di Thomas Struth, datate tra la fine degli anni settanta e i primi ottanta, non lasciano presagire i grandis- simi formati, le narrazioni cosmopolite, la ricercata eleganza di stampa che hanno in seguito reso celebre l'artista.Struth pre- dilige luoghi semplici e collettivi, periferie urbane, caseggiati operai. Si orienta a uno stile impersonale secondo l'insegnamento ricevuto, un bianco e nero funzionale, for- mati contenuti, perfino intimi. Indaga il ver- nacolo architettonico contemporaneo che gli è più familiare, quello dei quartieri-dor- mitorio delle grandi città renane, dell'edili- zia popolare socialdemocratica. Lo sguar- do non è neutro: rifugge dal lusso e dal- l'ornamento. Sullo sfondo, dissimulata dal- l'attitudine documentaria, la sommessa epica sociale della ricostruzione tedesca. L'austerità degli esordi cede a una pro- pensione grandiosa più o meno in corri- spondenza con il soggiorno italiano, a Napoli e a Roma, che si rivela determi- nante per Struth: vertigini archeologiche non mancano di colpirlo mentre osserva Napoli misurandone la complessità urba- nistica e cogliendo, negli strati architetto- nici, nei paesaggi di casa su casa, la compresenza di epoche e civiltà. Le gran- di immagini partenopee del 1988-1989 si rivelano "capricci" per temi e scelte com- positive: piccole figure segretamente ana- coretiche (i "restauratori") posano in spazi antichissimi, immensi e vuoti, o in chiese barocche ornate di ex voto e statue di santi. Il confronto con la pittura si impone insieme a un inedito desiderio di eloquen- za. La fotografia del Pantheon affollato di turisti, scattata a Roma nel 1990, è la più SO k cu o C/) Yves Bonnefoy, Il grande spazio, trad. dal francese di Feliciano Paoli, pp. 128, testo fran- cese a fronte, € 15, Moretti & Vitali, Bergamo 2008 L'espressione francese "Grand Louvre" designa l'ambizioso progetto di amplia- mento del museo varato da Francois Mit- terrand nel 1981 e completato nel 1999. Al termine dei lavori, il filosofo Jean Galard, allora direttore dei servizi culturali del Lou- vre, propose a Yves Bonnefoy di compor- re un testo per un film sul museo rinnova- to. L'iniziativa, però, si sviluppò in altri modi, e gli scritti elaborati allora sono stati completati soltanto oggi dall'autore; la loro pubblicazione in italiano, con il testo fran- cese a fronte, precede l'imminente edizio- ne francese. Il "grande spazio" del titolo è quindi quello del nuovo Louvre, con le sue innovazioni (la piramide di Yeoh Ming Pei) e le sue permanenze (il palazzo dei re, le collezioni, la Grande Galerie). Bonnefoy lo esplora con la sensibilità del poeta e la precisione dello storico dell'arte, trasfor- mando le tappe di una visita in quarantu- no brevissimi scritti dalla prosa disincanta- ta e allusiva. In questo percorso, è facile leggere l'esortazione ad affrontare le visite ai musei, luoghi ad alta densità culturale, con la tranquillità di chi vi rimane il tempo necessario e vi torna quando può, senza infliggersi la sofferenza fisica di un'indige- stione. Non un trattato di museologia, quindi, ma una galleria poetica condotta con la consapevolezza dello studioso e con la certezza di strappare un sorriso complice al lettore amante dei musei. Nel volumetto è pubblicata anche un'intervista all'autore, condotta da Daniel Bergez, in cui Bonnefoy espone da diversi punti di vista la natura del proprio rapporto con le opere d'arte. Conclude il libro una breve riflessione di Flavio Ermini su alcune pagi- ne del testo di Bonnefoy. Nicola Prinetti Vaccari di Franco Vaccari. Antologia fotografi- ca 1955-2007, a cura di Marco Franciolli e Maria Pero- sino, pp. 112, € 22, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Mi) Periodizzahile e segnata da svolte decise, l'attività di Franco Vaccari si pone sotto un'unica stella, riconoscibile e coerente: la tagliente ironia che colpisce, mutate le stra- tegie, i dispositivi, i contesti, l'autorità fotografica; o se si preferisce le retoriche Magnum dell'attimo decisivo, dello scatto ineguagliabile. Sin dagli esordi, con le serie dedica- te al popolo domenicale di contadini, operai e segretarie che affolla le rive del Secchia e le balere improvvisate sul Po, Vaccari sceglie di inseguire fotograficamente il margi- ne, il fuori campo, quanto sta in instabile equilibrio tra mondi eterogenei e non gode ancora di cittadinanza o di racconto. Che cos'è il climax di una fotografia ? Come si stabili- sce (e chi stabilisce) che qualcosa è climax? Lo sguardo girovago, distratto (Vaccari direbbe "ariostesco") sembra non meno promettente, come pure l'incontro, la scoper- ta casuale. Certo, accade negli Stati Uniti che giovani fotografi tra sessanta e primi settanta sperimentino lo scatto seriale (D'inconscio ottico") o siano attratti dal "banale quotidiano": ma individuare negli sconosciuti Ed Ruscba o (in seguito) John Baldessari i propri inter- locutori, scoprendoli magari in esili volumetti d'artista che hanno attraversato chissà come l'Oceano, è parte dell'originalità di un percorso, della sua necessità poeti- ca e critica. In occasione della performance Maschere, tenuta nel 1969, Vaccari chiede ai visitatori di entrare in una stanza buia e dà loro una maschera che reca impressa l'immagi- ne fotografica di un uomo. Quindi illumina selettivamen- te questo o quello spettatore (con una pila) e lo ritrae nel gesto istintivo con cui, per difendersi dalla luce improvvi- sa, questi porta al volto la maschera mostrandosi quale non è. La fotografia è un semplice "specchio" della realtà o una sua distorsione? Quale è il ruolo dei media o degli artisti che impiegano immagini fotografiche nella costru- zione del mondo "reale"? AUa Biennale del 1972 dispone una cabina per fototessere all'interno della propria sala, invitando gli spettatori a autoritrarsi: il pubblico diviene coautore. E singolare che il ruolo dell'artista risulti così tanto socializzato (in modi quasi heuysiani) a poche sale di distanza dalla Seconda soluzione di immortalità di Gino De Dominicis: la diversità degli interventi non potrebbe essere maggiore. L'artista in nero (De Domini- cis) lavora sul sistema dell'arte, e a questo rimanda; Vac- cari si interessa alla folla anonima dei visitatori. Il passo indietro rispetto al proprio ruolo riflette la consapevolez- za circa le implicazioni politiche dello sguardo, l'autorita- rietà, l'opportunismo, la brutalità dello scatto fotografico. Nascono progetti mirati alla costruzione di un luogo "pri- vato" (oggi diremmo relazionale) all'interno del luogo pubblico riservato all'esposizione: salottini, ambienti lounge, caffè che disattendono la gerarchia di ruoli inco- raggiata dal sistema e agita malgré tout dal narcisismo dell'autore. Nel catalogo della mostra al Museo cantonale d'arte di Lugano (febbraio-marzo 2008), concepito come progetto autonomo, l'artista dedica a ogni opera una descrizione/ricostruzione (in apparenza) retrospettiva. L'opera esiste (solo) nel racconto; il racconto nell'espe- rienza e nella memoria. (M.D.)