N. 3 Narratori italiani Della didattica e del femminismo di Cristina Bracchi Per svolgere il mestiere di insegnante, ci si chiede sempre da quale prospettiva e con quale sguardo presentare contenuti e questioni e se si stia insegnando a farlo a chi apprende. Posizionandosi, cioè dichiarando dove si è e chi si è nel momento dell'enunciato, si cerca di mettersi in relazione con gli/le studenti per creare l'ascolto e l'attivazione della ricezione soggettiva, evitando le derive del consenso passivo. La riflessione sul metodo e sulla responsabilità della professione docente si armonizza nel mio caso con l'attività di ricerca e il percorso esistenziale e politico di femminista. La necessità di questa riflessione pare oggi ancora più urgente in presenza di una volontà politica che in modo evidente e programmatico aspira a sottrarre dignità e ruolo formativo all'insegnamento, e intende eliminare le condizioni materiali minime perché questo possa svolgersi secondo un criterio laico e pluralistico, e ciò in tutti gli ordini e gradi di istruzione. Gli incontri nazionali deU'Autoriforma Gentile, l'ultimo è avvenuto nell'ottobre 2003 a Roma in gemellaggio con la Società italiana delle letterate, vanno proprio nella direzione dello scambio, del confronto e dell'insegnamento critico e consapevole. Due questioni che riguardano l'agire nel circolo virtuoso dello studio, nei due aspetti dell'insegnamento e dell'apprendimento, sono la ricerca di equilibrio e di mediazione tra il desiderio e la necessità, qualche volta inconciliabili, e la dialettica dentro/fuori rispetto ai canoni culturali e scientifici e rispetto ai luoghi nei quali si praticano la cultura e la politica. Si tratta di vivere la professione in modo non ovvio e di arricchirla con la produzione di senso, di saperi, di pratiche e di ermeneutica del femminismo: dal coraggio della passione e del mettersi in gioco, che portano alla scoperta di un di più e di un altrove; dal mettere a rischio e in disordine la tassonomia data, per tentare un nuovo e un oltre impensato; alla pratica delle relazioni, quelle che danno misura, forza, consapevolezza e soggettività politica come progetto. Si tratta di chiedersi quanto il dato di necessità, personale, economico, familiare, sociale e culturale, condizioni o precluda nella forma e nei contenuti i desideri di formazione, di trasmissione e di educazione, o invece quanto questi modifichino il dato di necessità. Si tratta, infine, di chiedersi se ci sia una relazione di appartenenza con la scuola o l'università in cui si insegna, con i colleghi e le colleghe che ci lavorano. Torna in mente Non starci per esserci, il titolo del n. 63 della rivista di pratica politica "Via Dogana" (dicembre 2002), in relazione alla scelta di sottrarsi a un luogo, a una politica, a una consuetudine da cui si dissente, per essere invece utilmente e lucidamente presenti e propositive altrove e altrimenti. Questo per dire che al di fuori delle istituzioni scolastiche e accademiche accadono eventi di pensiero e di cultura dall'autorevole potenza ideativa con cui, in qualità di operatori e operatrici di cultura, si ha il dovere etico di entrare in relazione per aumentare la forza assertiva di contrasto verso una politica reazionaria e distruttiva che minaccia una secolare tradizione di studi, laica e diversificata, e una neonata, anche se malintesa, scolarizzazione di massa. Ecco perché proporre al Centro interdisciplinare ricerche e studi delle donne (Cirsde) dell'Università di Torino il seminario "Saperi, immagini, rappresentazioni. Il simbolico femminista nella cultura", che comincerà a marzo 2004, nell'ambito del progetto "Unigenere. Per una formazione di genere", finanziato dal Fondo sociale europeo e dal Programma operativo regionale. Gli incontri hanno l'obiettivo di proporre elementi di conoscenza e di riflessione sull'immaginario femminista e la sua presenza nei diversi ambiti di cultura. Lo studio delle immagini e delle rappresentazioni che contengono saperi e prassi è inteso quale contributo alla comprensione delle trasformazioni sociali, della complessità del presente, dei processi del divenire, tra cui la femminilizzazione della cultura. La lettura critica delle immagini della presenza e della trasmissione dei saperi femminili-femministi, della rappresentazione iconica o verbale di contenuti di genere, di differenza, di soggettività femminista, risulta essenziale per verificare le genealogie e i processi che stanno passando in eredità da una generazione all'altra e quale ne è la ricezione e la rielaborazione. Le tradizioni e le genealogie di riferimento, nell'arte, nell'editoria e nel giornalismo, nella satira, nel fumetto, nella letteratura, nella pubblicità, nella comunicazione e nei media, consistono in una base di conoscenza necessaria, da illustrare attraverso esempi, storie, processi, per la comprensione degli spostamenti che a livello simbolico e razionale i femminismi hanno prodotto e di cui si parlerà, in momenti diversi, con Lori Chi-ti, Anna Maria Crispino, Anna D'Elia, Clelia Pallotta e con me. Gli spunti concettuali condivisi nell'impostazione del discorso, i processi dell'immaginario e i percorsi di differenza che saranno presentati hanno in comune la base scientifica e critica data dalle teorie femministe, dagli studi e dalla politica delle donne, e l'obiettivo didattico di indicare nuovi o consolidati elementi critici, e comunque eccentrici rispetto a molto insegnamento accademico, che vanno ad arricchire le individuali griglie di interpretazione della realtà e con i quali si può produrre mondo. Poiché i destinatari e le destinatarie principali delle lezioni saranno studenti, si sperimenta la formula del seminario itinerante, ospitato nei corsi della Facoltà di lettere e filosofia che hanno vicinanza con le discipline e le competenze delle docenti invitate. ■ bracchi@cisi.unito.it C. Bracchi è studiosa di letteratura italiana "Pensava a se stesso come a un uomo fortunato" di Luisa Ricaldone Torinese, classe 1975, laurea sulla letteratura femminile del primo Settecento, alcuni anni di attività editoriale presso Einaudi, diverse collaborazioni nel campo dell'editoria scolastica, un estratto della tesi pubblicato nei quaderni del Cirsde dell'Università di Torino (Trauben, 2001), un racconto edito nel numero dedicato alle torinesi dalla rivista "Leggendaria" (ottobre 2003), un romanzo, Domani andrò sposa, appena uscito presso l'editore Frassinelli. Fra le scrittrici che dichiara di amare: la classica Yourcenar, per le Memorie di Adriano-, e, fra le viventi, Margaret Atwood, l'immaginosa canadese feroce sui temi femminili. Michela Volante predilige, al momento, personaggi storici non di prima grandezza ma dotati di un certo genio, dediti con fervore e determinazione al mestiere cui li ha indirizzati il loro talento. Questo si può dire sia della poetessa arcade Petronilla Paolini Massimi, intorno alle vicende della quale è costruito il romanzo, sia dell'astronomo Jean-Baptiste Le Gentil, protagonista di questo racconto inedito. Li o scenario e settecentesco, /la prima metà del secolo o poco oltre, periodo conosciuto molto bene da Michela, che vi ha dedicato la tesi di laurea e l' \muo qualche studio successivo. Sono gli anni dello sviluppo scientifico e tecnico, dei viaggi, della fiducia nella ragione (e anche gli anni in cui l'emancipazione delle donne comincia a farsi strada; tra i nemici più temibili, la Chiesa e le convenzioni. Ma di questo si leggerà nel romanzo). Nel racconto si punta al rapporto tra azione dell'uomo e intervento della natura, tra in- Cercando Venere telligenza, competenza, dedizione, pertinacia dell'individuo e ultimatività di un banale contrattempo meteorologico. Cercando Venere, nella doppia accezione suggerita dal nome del pianeta, diventa allegoria di una felicità sempre rinviata. Conclusa la lettura, si affaccia il desiderio di conoscere altre vicende della vita di questo personaggio, figura nota tra gli a-stronomi, mi si dice, e non solo per il ruolo di assistente di Jacques Cassini. La scrittura di Michela appartiene allo stile alto, in controtendenza rispetto al minimalismo e al linguaggio del quotidiano e del banale. Questa scelta investe anche il livello lessicale, che risulta spesso dotato di un'intenzionale forma di pertinenza ed è capace di fare risuonare, con risvolti suggestivi, e-chi al limite del desueto. Da rilevarsi ancora, su questa linea, l'equilibrio tra linguaggio della narrazione e linguaggio espresso dal lacerto storico (trascritto? inventato?) che sfiora, tenendosene però adeguatamente lontano, la forma gustosa dell'idioletto mimetico. ■ rical@cisi.unito.it L. Ricaldone insegna letteratura italiana all'Università di Torino Un inedito di Michela Volante Monsieur Guillaume-Joseph-Hyacinthe-Jean-Baptiste Le Gentil de La Galaisière pensava a se stesso come a un uomo fortunato. A un astronomo fortunato perché era toccato a lui essere l'assistente di Jacques Cassini, a lui scoprire ben tre nebulose (una delle innumerevoli sere in cui stava all'Observatoire, con la testa cacciata negli specchi dei telescopi, e da lontano gli arrivavano i suoni mondani della grande città), e a lui infine sedere nella gloriosa e precorritrice Accademia delle Scienze di Parigi. Ma anche in assoluto Monsieur Le Gentil si considerava un uomo fortunato: aveva contratto un buon matrimonio con una dama di ottima famiglia e viveva nella capitale del mondo, la paladina di tutte le arti e le scienze (solo di là della Manica, tra quei guerrafondai inglesi, il sapere scientifico era forse tenuto in maggior considerazione). Nel grembo proteiforme di Parigi, però, l'amore per la scienza si stemperava nei piaceri di una vita di società senza eguali. Monsieur Le Gentil, così dotto e razionale, avrebbe dovuto provare ribrezzo per la baraonda di divertimenti in cui la sua città vorticava. Invece, proprio l'animo rigoroso gli consentiva di guardarvi con sornione sollievo: quegli spassi lo distraevano e ritempravano dopo affannosi periodi di studio e, d'altrocanto, l'occhio perspicace dello scienziato lo aiutava a cogliere in essi con discernimento e buon gusto. Anche per questo la prospettiva del lungo viaggio cui l'Accademia lo aveva destinato lo solleticava in modo particolare: era la consacrazione di un valente uomo di scienza - e ancor più lo sarebbe stata al suo ritorno, stretti fra le dita i calcoli sulla parallasse solare. Al contempo, rientrare a Parigi per rituffarsi con attenta moderazione nei sollazzi avrebbe avuto un sapore doppiamente soave. Attendeva il giorno di marzo del 1760, della partenza per Brest. Da lì si sarebbe imbarcato e, su flutti ora benevoli ora rabbiosi, avrebbe raggiunto la colonia francese di Pondicherry, in India. Laggiù avrebbe spiato la superficie del Sole per scorgere Ver ;re che vi si stagliava contro. La durata del passaggio del pianeta avrebbe svelato dati ignoti sulla distanza fra Terra e Sole, sulle loro dimensioni e perfino sull'incalcolabile velocità della luce, sempreché non fosse infinita. I mesi per mare gli sembrarono assai rapidi. Non soffrì nausee, o almeno s'impose di non udire lo strazio che gli proveniva dalle viscere quando il mare batteva contro le fiancate da ogni direzione. Allo stesso modo, se la nostalgia della sua sposa, o dei figli, o della più profana scollatura di qualche fanciulla con cui talvolta s'intratteneva, gli foravano l'anima, o il corpo, subito li scacciava con sdegno, concentrandosi sui libri che costituivano l'intero suo bagaglio. Quando la nave attraccò nell'isola di Bourbon, ultimo scalo prima della sua Pondicherry (non l'aveva mai vista ma l'amava più della grassa campagna francese da cui venivano i suoi avi), Le Gentil smise di dormire. Annusava freneticamente l'odore intenso del porto tropicale, lanciava sguardi esaltati alle donne indigene ma la sua attenzione si spostava subito altrove. Voleva già essere in India. La nave necessitava di alcune riparazioni e non salpò per più giorni. Le Gentil divenne rauco a forza di domandare al comandante nuove sulla partenza. L'ultima notte si lasciò trascinare in una bassa stanzetta e diede sfogo con una bella mora alle ansie. Poi riuscirono a partire. Le Gentil si chiuse in cabina e ricapitolò dall'inizio tutti i suoi calcoli.