N.7 Isabel Allende, La figlia della for- tuna, ed. orig. 1999, trad. dallo spa- gnolo di Elena Liverani, pp. 333, Lit 30.000, Feltrinelli, Milano 1999 Fanny Buitrago, La signora del miele, ed. orig. 1993, trad. dallo spa- gnolo di Antonella Donazzan, pp. 190, Lit 14.000, Feltrinelli, Mi- lano 1999 Rosario FerrÉ, La casa della lagu- na, ed. orig. 1996, trad. dallo spa- gnolo di Ursula Bedogni, pp. 396, Lit 30.000, Fazi, Roma 1999 Martha Cerda, La borsa della si- gnora Rodriguez, ed. orig. 1994, trad. dallo spagnolo di Michela Fi- nassi Parolo, pp. 143, Lit 24.000, il Saggiatore, Milano 1999 Isabel Allende è tornata. Le peripezie culinarie di Afrodita (1997; Feltrinelli, 1998, cfr. "L'Indice", 1998, n. 4) avevano segnato una tappa singolare nel- la produzione dell'autrice. La fi- glia della fortuna è invece un ri- torno alla modalità narrativa che le è più caratteristica, dove l'ap- proccio istintivo e sensuale non perde rilevanza, ma viene subor- dinato ài ritmi di una sequenza biografica. Questa volta i riflet- tori sono puntati su una giovane cilena divenuta avventuriera per amore, che divide la sua vita tra le mura della casa di una Santia- go confusionaria e vitale di metà Ottocento e gli spazi senza legge 'della California della febbre del- l'oro. Scrittrici latinoamericane sulle tracce di Garcia Màrquez Donne sul cammino di Macondo Eva Milano È complicato spiegare le origini di Eliza Sommers, le cui vicende tortuose precedono la nascita; ar- riva al mondo da orfana, ma non lo è del tutto, vive la sua infanzia sotto la protezione di una coppia di fratelli inglesi, ma trova genito- ri d'elezione fuori da quel nucleo, tra le braccia di Marna Fresia, la domestica, e del capitano John Sommers, il terzo fratello, che vi- ve sul mare e compare di tanto in tanto. Quella stessa confusione che moltiplica e complica i ruoli convenzionali su cui si fonda la sua esistenza l'accompagnerà per tutto il suo cammino fino a trasfe- rirsi direttamente sul suo corpo, e culminando nella forma irruente dell'agnizione. Contro ogni previ- sione, però, Eliza non viene affat- to travolta dal conflitto di identità generato da tale caos simbolico; ella invece si mostra libera di ac- cettare quanto le offre chi le sta intorno, è arriva addirittura a gio- care a suo vantaggio sfruttando i punti deboli dei ruoli altrui. Ma se il nuovo romanzo di Al- lende si configura, a livello tema- tico, come un ritorno ai tempi di D'amore e ombra (1984; Feltrinel- li, .1991) ed Eva Luna (1987; Fel- trinelli, 1991), si percepisce anche un offuscamento dei toni brillanti e favolosi cui l'autrice ci aveva abituati. In sostanza sembra esse- re venuta meno gran parte del lu- stro mitico-fantastico conferito ai personaggi e al loro mondo, dove l'assunzione delle leggi del corpo e dei sensi come norma direttrice conduceva al trionfo dell'irrazio- nalità, ora ridotta entro confi- ni più realistici. E per quanto smaliziati e atten- ti noi lettori sia- mo, dobbiamo ammettere che un po' ci piaceva lasciarci cullare dalla carezzevole illusione che da qualche parte i buoni sono buoni fino in fondo, e magari anche un po' magici. Il ritorno di Isabel Allende in- duce a una breve rassegna di ope- re di scrittrici di area ispanoameri- cana anch'esse pubblicate di re- cente. A questo punto ci si ritrova di fronte alla solita questione; chi si occupa della letteratura dei pae- si dell'America Latina è solito ave- re una particolare predisposizione alle presentazioni in serie; basti pensare all'effetto minestrone de- gli anni del boom. E ancora peg- gio, quando si tratta di autrici, si cuperare il proprio passato attraverso gli ogget- ti, ma questi le ricordano sempre la cosa sba- gliata. C'è la Contessa Scalza, una sorta di Cas- sandra alla buona, che vaticina la fine dell'Isola "facendo suonare i suoi polsi d'argento e pro- fumando l'aria con il suo ventaglio di legno di sandalo". C'è lo Zio Rolo, omosessuale, pro- prietario della raffinata libreria Eleusis, infeli- cemente innamorato di un marinaio senza scru- poli e senza cuore di nome Sandokan, che po- trebbe essere nato da Cernuda o da Genet. C'è il negro Merengue, venditore ambulante di dol- ci, padre alla continua ricerca del figlio Chavi- to, sempre introvabile, autore delle innumere- voli statue bianche che si trovano nell'Isola. Ci sono le sorelle Marta e Mercedes che si sono create una propria realtà immaginaria: la prima, cieca, sogna altri luoghi e altre città che non ve- drebbe come non vede l'Isola; la seconda, fru- strata segretaria municipale, sogna di diventare - senza sapere di esserlo già - un personaggio di romanzo come Madame Bovary. C'è la can- tante d'opera Casta Diva ossessionata dalla sua antica bellezza, dalla lirica e dagli specchi, che conduce una vita squallida con un marito para- lizzato, una figlia deforme e un figlio - Tingo Non-Capisco - cui è destinato il ruolo di scemo del villaggio, cosa che però lui, paradossalmen- te, capisce. E ci sono ancora Melissa, Vido, Se- bastiàn, Lucio, Chango, Pinito, Padrino... Poi c'è II Ferito, il misterioso giovane rinvenuto nell'Aldilà trafitto di frecce e avvolto in una bandiera cubana per il quale la popolazione dell'Isola sviluppa una spontanea e incompren- sibile devozione. C'è, infine, l'Isola tout court, ovvero l'isola intesa in senso letterale, quale luogo della solitudine per eccellenza in cui, do- vunque si vada, ci si trova sempre una barriera d'acqua davanti. E l'Isola nella sua simbologia di terra effimera, imperfetta, accidentale, di- nanzi alla persistente ubiquità e magnificenza del mare, che invece partecipa di tutti gli attri- buti dell'eternità. Per questo si può dire che è l'Isola nel suo complesso a essere la protagonista di Tuo è il re- gno, come Macondo lo era di Cent'anni di soli- tudine. Tuttavia, sebbene la ricchezza e la fanta- smagoria delle vicende che animano l'Isola, in- sieme a quel sapore un po' surreale che fa loro da sfondo, potrebbero indurre à un parallelismo con la mitica città di Garcia Màrquez, la mano dell'autore lo impedisce. Abilio Estévez è, ri- spetto al grande colombiano, più raffinato, più colto, e in Tuo è il regno non si contano i riman- di letterari. Inoltre, i continui interventi intra- diegetici dell'autore - sempre giocosi, mai pe- danti - impediscono a questo romanzo di calca- re i luoghi comuni del realismo magico. Se an- che qui, come nel caso di Macondo, si procede nella lettura con la continua sensazione di tro- varsi in procinto di smascherare la valenza me- taforica dell'Apocalisse che incombe sull'Isola, non si rimane in sospeso, chiusa l'ultima pagina, a tentare variamente di interpretarla. Con estre- ma semplicità e con un effetto surprise che illu- mina, come in un buon giallo, qualcosa che era lì fin dall'inizio, la spiegazione ci viene data nell'epilogo. E si scopre allora anche quale fosse- il tempo della narrazione, dilatata nelle trecen- tocinquanta pagine di monologhi in cui ogni personaggio rende conto del proprio passato come nell'imminenza del Giudizio Universale: un capodanno, quello tra il 1958 e il 1959, che non significò per i cubani un semplice anno in più... L'incendio provocato dalla candela rove- sciata sbadatamente da Dona Juana, risvegliata- si da un coma durato trent'anni, che distrugge l'Isola, sigla quel memorabile passaggio a una nuova era, nonché la fine del romanzo. Eppure Tuo è il regno non è solo la rivisitazione di un'in- fanzia o il racconto del febbricitante momento storico in cui si è svolta. La Rivoluzione del '59, quella rimasta sui libri di Storia, vi assume la va- lenza metaforica di un Diluvio Universale, per questo non si tratta nemmeno di un romanzo politico o ideologico. Lontano da celebrazioni di sorta, Tuo è il regno è, semmai, una grande fa- vola metafisica. incorre nella sgradevole possibi- lità di. risultare animati da una mancanza di lucidità offuscata da ombre misogine. D'altra parte le opere stesse cui mi riferisco ri- mandano più o meno apertamen- te a una radice comune, poiché sviluppano secondo sensibilità propria alcune coordinate comu- ni sulla scia del successo della stessa Allende. Si tratta di autrici che accolgono ampiamente il tributo del reali- smo magico di Garcia Màrquez e ne riprendono i differenti aspet- ti con il condiviso intento di valo- rizzare la figura femminile. Vedia- mo come. Martha Cerda, messicana, di- chiara il suo legame con lo stile dell'autore colombiano nel mo- mento stesso in cui se ne disco- sta per porsi in deliberata rela- zione anche con la tradizione borgesiana, quando afferma che il nome giusto per la sua scrittu- ra è "realismo fantastico. Non magico. La differenza tra i due termini è molto sottile. Nel reali- smo fantastico non esiste una chiara distinzione fra realtà e fantasia. Nel realismo magico, invece, è possibile registrare il passaggio da una all'altra". Una distinzione già presente in Tutta una vita (1998; il Saggiatore, 1998), una storia d'amore vissu- ta da un punto di vista decisa- mente originale: è difficile stabi- lire se il narratore sia intra- o ex- tradiegetico se si tratta del feto che per i lunghi anni della sepa- razione della madre dall'amato resta a osservare gli eventi, aspettando il loro congiungi- mento per venire al mondo. In La borsa della signora Rodriguez le coordinate spazio-temporali finiscono per perdere completa- mente valore. I ricordi si mesco- lano con i pensieri e con le stes- se parole che leggiamo, alla rin- fusa nella borsetta della protago- nista, oggetto che è parte viva e inscindibile del suo essere, così come la donna che la indossa è corpo vitale e al tempo stesso identità di carta che sotto la vo- lontà dell'autrice si trasforma costantemente: si piega secondo i capricci delle sue mani, svento- la sotto il suo soffio, brucia, se lei lo decide, ma soprattutto av- volge le'cose prendendone la forma senza mai appartenere al- la loro sostanza. E così la eic- ciottella signora Rodriguez rima- ne incinta mentre perde i denti da latte e legge il proprio mano- scritto fino alla fine scoprendo in anticipo quale sorte l'attende. Rosario Ferré si muove su un versante diverso della stessa tradi- zione letteraria, quello più vicino ai canoni del realismo. In una Puerto Rico in cui manca fisica- mente lo spazio naturale che ispi- ra i miti d'incontaminato splendo- re delle opere di Garcia Màrquez, i romanzi si popolano di persone, e dell'autore colombiano Ferré accoglie il gusto per le saghe fami- gliari, attraverso cui la narrazione si lega saldamente alla storia dell'isola, sempre in bilico tra le aspirazioni di integralismo e indi- pendenza rispetto agli Stati Uniti, in un conflitto intemo che dà la misura della sua profonda carenza d'identità. La casa della laguna co- mincia con un lungo albero ge- nealogico. Isabel, protagonista e narratrice, ripercorre la storia deh la sua famiglia e di quella del ma- rito Quintin al fine di intrecciare i ricordi e legarli definitivamente nella memoria. L'attività narrativa della donna, segreta in partenza, viene poi intercettata dal marito, molto meno entusiasta dell'idea di vedere i fatti della propria famiglia esposti al dominio di chi incontri quelle pagine, e scrupoloso difen- sore di una visione più storica- mente esatta. Questa storia paral- lela, che prenderà la forma di un vero e proprio scontro sulla carta fino a coinvolgere le vicende fami- gliari, è il punto di maggior inte- resse dell'opera, che assurge a me- taromanzo sulle modalità della fiction e della cronaca a partire da un conflitto di genere. Grazie all'intervento diretto di Quintin, personaggio che si ribella al suo ruolo passivo, inoltre, la narrazio- ne assume carattere polifonico, e acquisisce di conseguenza vivacità drammatica e tensione dinamica. Rispetto a Vicini eccentrici (1998; Piemme, 1998), La casa della lagu- na appare più complesso e ricco di stimoli, per quanto la struttura di base sia molto simile. Nel pri- mo, la saga famigliare che si snoda attraverso il racconto di Elvira, di- scendente della dinastia dei Rivas de Santillana, appartenenti alla grande aristocrazia della terra, e dei Vernet, industriali filostatuni- tensi, comunica spesso la sensa- zione di trovarsi di fronte a situa- zioni e personaggi non completa- mente indipendenti rispetto a idee e stereotipi che li hanno generati. Chiude la carrellata una spu- meggiante favola della colombia- na Fanny Buitrago, pubblicata di recente in edizione economica. La signora del miele è la storia di una Cenerentola che è riuscita, dopo anni di venerazione incondiziona- ta e univoca, a portare all'altare un Principe Azzurro sbagliato. Teodora Vencejos vive da sempre all'umile servizio di Galaor Ucrós, il cui attraente aspetto fisico con- trasta con l'arido opportunismo che ne governa le azioni, e l'abne- gazione le impedisce di gestire con consapevole padronanza le sue enormi ricchezze, una fortuna materiale che le era stata occulta- ta dalla classica matrigna cattiva, ma soprattutto una straripante sensualità che trasmette immedia- tamente a chi solo le passa vicino, ma di cui nemmeno si accorge. Come nelle migliori favole, un ba- cio e una pozione magica salvano l'eroina, che nel frattempo si è pu- re addormentata, casomai qualcu- no non si fosse accorto che la ver- nice luccicante che l'autrice spar- ge a grosse pennellate è proprio quella del mondo incantato delle fiabe. A rimuovere ogni dubbio sulla parentela che lega anche questo romanzo alle opere del suo egregio connazionale basta il no- me della corrente cui esso si ascri- ve: lo chiamano "erotismo magi- co", quel filone tutto femminile e ispanoamericano in cui la sugge- stione delle atmosfere di Macon do passa al servizio del corpo femminile e lo rende mitico. ■