OTTOBRE 1996 segue un pubblico capace di riascoltare in originale l'antico canto epico. Piuttosto, la moderna storia degli studi classici insegna che attorno ai poemi omerici si è aperta una duplice sfida, giocata da una parte sul terreno della ricerca specialistica, dall'altra appunto sul terreno delle traduzioni. Nella Repubblica dei dotti - si sa - la Querelle des Ancien; et des Modernes prima, in seguito l'esplosione della "nuova" questione omerica (dall'abate d'Aubignac a Friedrich August Wolf) e infine la scienza dell'antichità di scuola germanica hanno accreditato immagini contrastanti di Omero, da modello di perfezione a discutibile esempio di poesia primitiva, e riproposto la teoria della composizione anonima di canti stratificati nel tempo e fissati per iscritto solo nel VI secolo a.C. Nel lungo lavoro di esegesi si avverte più di un'eco della critica biblica moderna: il che la dice lunga sui valori sollecitati dalla questione omerica, anche per quanti - e son maggioranza, ma non incontrastata - intendono cancellare la presenza del poeta e sostituirla con meccaniche agglutinazioni di canti sparsi o con l'azione finale di incerte figure di compilatori, rielaboratori o tardi redattori. Tuttavia la "scomparsa" di Omero non ha mai offuscato la coscienza che i due poemi rappresentino l'archetipo della cultura occidentale e il fondamento di ogni tradizione poetica. A diffondere e corrobare tale coscienza hanno contribuito e tuttora contribuiscono, più che la dottrina degli esperti, gli sforzi di coloro - e sono legione - che sotto ogni cielo hanno messo ora l'uno ora l'altro ora entrambi i poemi a disposizione dei propri contemporanei. Veniamo così alla seconda sfida. La versione dell 'Iliade e dell' Odissea nelle lingue nazionali moderne costituisce capitolo a sé nella storia della ricezione dei classici. A tacer delle prove che fi-gùrano nei fascicoli di molti poeti a documento di conquista di personali cifre stilistiche nel solco di un immaginario forte e collaudato, la poliglossia a cui vengono sottoposte le alate parole dell'epos segnala l'impossibilità di due rinunce: alla lingua nuova, moderna, come indispensabile strumento di mediazione; al testo antico come radice comune imprescindibile, anteriore per così dire alla dispersione delle favelle. Non è certo questa la sede per discutere dei problemi posti in essere dalla traduzione in generale e da quella dei classici in particolare; è però facile osservare come tradurre Omero ("Omero", per i separatisti) rappresenti, di volta in volta e talora insieme, incunabolo di lingue poetiche moderne, banco di prova per teorie estetiche generali, pietra di paragone per gusti e possibilità espressive. Altrettanto agevole è constatare come, rispetto all'immutabilità dell'originale, le versioni siano tutte implacabilmente sottomesse alla legge del tempo, perché programmate per far collimare l'accesso al testo antico con l'evoluzione della lingua ospitante. Ogni generazione, insomma, sembra esigere che i classici vengano ripresentati in foggia adeguata, doppiamente riconoscibili per connotati intrinseci e per vesti ag- giornate. Qualche eccezione non infrange la regola: per restare da noi, l'Iliade tradotta da Vincenzo Monti ha resistito a lungo tra le mani dei lettori - e ancor di più sui banchi di scuola - in quanto felice sintesi tra antico spirito epico e stilemi neoclassici, col duplice esito di inserire la versione del poema (a prescindere dalla padronanza del greco del "traduttor dei traduttori di Omero") nella nostra tradizione letteraria e proporre moduli espressivi funzionali ai processi di ricomposizione unitaria della lingua nazionale. Ma a processi assestati, l'esigenza d'aggiornamento si ter òyy&C'oh'icr fa sentire con forza: nel giro di pochi anni i poemi omerici riemergono nella prosa filologicamente preoccupata di Nicola Festa (1917-20) e, con piglio carducciano, negli "esametri barbari" di Manlio Faggella (1923-25) e di Ettore Romagnoli (1924-26), capaci a titolo diverso di soddisfare simpatie classicheggianti e fervori nazionalistici. All'indomani della seconda guerra mondiale, clima positivo di ricostruzione e dolente comprensione umana incorniciano le traduzioni einaudiane di Rosa Calzecchi Onesti (1950), che sa riprodurre senza enfasi la solen- nità dell'esametro epico nelle cadenze di una straordinaria prosa ritmica di scoperta nervatura pave-siana. Frequenti sconfinamenti da prevedibilità espressive e normalità lessicali rendono però impervio il dettato dell'Omero einau-diano a lettori giovani che vivano le accelerazioni, spesso riduttive e paratecnologiche, impresse sull'italiano di oggi dai mass media. A colmare questo divario provvedono altre imprese: l'attenta versione di Giuseppe Aurelio Privi-tera per l'edizione commentata dell 'Odissea della Fondazione Laboratorio omerico di Giacomo Bona Vincenzo Di Benedetto, Nel laboratorio di Omero, Einaudi, Torino 1994, pp. XII-374, Lit 45.000. L'importante volume di Di Benedetto, che riacquista attualità speciale alla luce del dibattito qui proposto, incomincia còn una frase volutamente provocatoria: "C'è un modo rozzo di leggere Omero (,intendo 'Omero' come l'autore dell'Iliadej". In realtà a suo parere la tendenza prevalente nella critica omerica attuale, quella - per intenderci-che a partire dagli studi del Parry (1928) ha proposto e via via approfondito la tradizione orale della poesia epica della Grecia arcaica, studiato le tecniche della composizione "orale", l'impiego delle formule, i modi della performance e così via. Ora, questo modo di studiare l'epica omerica che ha portato a privilegiare il tipico e il tradizionale rispetto allo specifico e al peculiare, se da un lato ha "individuato... un aspetto nuovo della cultura poetica dell'età omerica, in realtà impoverisce l'approccio, nel senso d'una generica semplificazione, una semplificazione che risulta inadeguata alle molteplici sollecitazioni che si dipartono dal testo e che il critico letterario deve essere in grado di recepire e di organizzare". La presentazione preliminare della critica "oralista" nella sua stringata schematicità la: scia in verità in ombra e passa sotto silenzio la varietà e peculiarità di studi recenti e recentissimi che hanno non poco arricchito e affinato la ricerca in questo campo. Ma Di Benedetto vuole indicare che, a suo giudizio, questo tipo di critica volta a indagare le tecniche della composizione orale e ad applicarle nell'analisi dei poemi omerici in effetti lede il diritto Je//Tliade a essere letta e interpretata, di là dai modi della sua formazione, come un testo letterario. Se dicessimo che la sua è una "lettura" dell' Iliade, ci correrebbe il dovere di precisare che essa non ha nulla da spartire con una lettura cursoria e impressionistica del poema, in quanto lo studioso si sofferma con puntigliosa minuzia a indagare con acume e intelligenza ogni particolare del poema nel contesto specifico in cui è inserito. Una interpretazione del poema che Di Benedetto ha condotto con anni di studio attento, come attestano vari articoli pubblicati nell'ultimo decennio, e discusso nei corsi che ha tenuto presso l'Università di Pisa. Nell'lìiade espressioni come "aurora dalle dita di rosa" oppure "scudi ombelicati" sono formule stereotipe che l'aedo epico usa: la presenza di formule di questo genere è, secondo i critici oralisti, molto ampia, mentre per Di Benedetto è limitata a casi generici. Negli altri casi ci troviamo in presenza di espressioni che sono create e volute dal poeta stesso, che se ne serve a caratterizzare perso-naggi o scene particolari. Lo studioso è interessato a cogliere questi richiami che talora sono sfruttati dal poeta a distanza, cioè come richiamo letterario in passi tra loro lontani. Un solo esempio. Pur essendo il tema del duello un caso tipico che ricorre più volte, ovviamente, in una narrazione di guerra, solo in due casi abbiamo la ripetizione di ben cinque versi, nel libro terzo a proposito del duel- Percorsi della riflessione femminile A chi si abbona per l'anno 1996 Lapis offre tre combinazioni nel vostro interesse 1 abbonamento con 1 libro in regalo lire 40.000 2 abbonamenti con 2 libri in regalo lire 70.000 invece di lire 80.000 Abbonamento comulativo con II paese delle donne e 1 libro in regalo lire 90.000 invece di lire 110.000 Modalità di pagamento: □ assegno non trasferibile intestato a La Tartaruga edizioni Srl □ e/c postale n° 24001208 intestato a: La Tartaruga edizioni Srl - via Filippo Turati 38 - 20121 Milano settembre 1996 dalla "differenza" alla soggettività lettere, diari, autobiografie, cellule prime della scrittura una tragedia dei nostri giorni Hélène Cixous sull'Aids La Tartaruga edizioni Srl via Filippo Turati 38-20121 Milano tei. 02 6555036 - fax 02 653007 Valla (6 voli., 1981-86); i due volumi dell'editore Marsilio (1990 e 1994) in cui Maria Grazia Ciani mette a frutto lunga familiarità con la poesia omerica, restituendone l'incanto narrativo in prosa scorrevole e piana; infine la recentissima Iliade accolta tra i "Classici Rizzoli" nella versione di Giovanni Cerri e corredata dal commento, sobrio e informatissimo, di Antonietta Gostoli. Senza voler entrare qui nel merito di programmi editoriali in concorrenza o di eventuali domande del mercato librario, piace segnalare peculiarità e pregi di questa nuova Iliade che arricchisce il nostro scaffale dei classici. Intanto, due parole di presentazione del traduttore e della curatrice delle note di commento: Cerri è titolare di letteratura greca all'Istituto Universitario Orientale di Napoli, Antonietta Gostoli professa la medesima disciplina n. 9, pag. 28 nell'Università della Calabria; diversi per età e intensità di produzione scientifica, appartengono entrambi alla scuola urbinate di Bruno Gentili, promotore di nuovo impulso impresso agli studi di greco per l'acuta sensibilità con cui sa coniugare strumentazione filologica e scienze umane. Dedicata appunto al maestro comune, l'opera non nasconde come la rinnovata resa italiana del l'Iliade discenda da un'interpretazione complessiva della poesia omerica, considerata nei suoi aspetti pragmatici di comunicazione a misura della società greca arcaica, la cui dimensione orale-aurale tende a far coincidere produzione e circolazione di testi, estendendo alla totalità dei cittadini lo statuto di pubblico. Come si precisa nelle belle pagine introduttive di Cerri, il poema è inteso come frutto di raffinate scuole rapsodiche non destinato a lettura ma a pubblica esecuzione di fronte a un uditorio vasto e popolare, in larga misura estraneo a forme di alfabetizzazione. La materia epica è scandita in episodi a portata di attenzione e il racconto attiva, per via interna, calibrate strategie espositive (dilazioni e riprese formulari, similitudini, ripetizioni e digressioni) atte a intrattenere, con linguaggio semplice e comprensibile, gli ascoltatori, cui procura diletto e insieme fornisce informazioni e ammaestramento. Se dunque manca la regia di un unico autore, l'unità si ritrova nei temi narrativi, nei modi dell'esecuzione e, soprattutto, nella storia della ricezione. Da tali premesse (non da tutti condivise, come mostra il libro di Vincenzo Di Benedetto presentato qui a fianco) Cerri deriva la sua proposta di traduzione. Egli ben conosce la vicenda delle versioni omeriche e lo sforzo novecentesco di avvicinare il testo alla lingua d'uso. Sa però anche, da specialista, come l'accumulo di questioni filologiche e letterarie su ogni aspetto della poesia omerica spesso abbiano indotto i traduttori a scelte lessicali o sintattiche poco comuni, a tutto svantaggio di una comprensione immediata e perspicua. A tale comprensione egli intende invece puntare, mettendo le proprie competenze di grecista e me-tricologo al servizio delle potenzialità di democrazia culturale insite nella cosiddetta "oralità seconda" che, a detta degli esperti, connota la nostra epoca mass-me-diatica. Agisce pertanto sull'andamento espressivo della lingua: dell'esametro eroico, che ha assicurato comprensione (e acculturazione) al pubblico antico, riproduce la cadenza bipartita che adatta alle sequenze ritmiche interne unità sintattico-concettuali e di significato; lessico e sintassi non conoscono, se non in casi di concitazione o intensità patetica imposti dall'originale, soluzioni auliche o inaspettate. L'impresa è coronata da successo e la sfida linguistica a essa sottesa si chiude con duplice vittoria: del traduttore, a cui è stato assegnato il premio "Città di Monseli-ce" (XXVI edizione, 1996) per la migliore traduzione; della poesia omerica che continua a incantare con il fascino della sua narrazione. Al tocco sapiente dell'interprete moderno le antiche parole alate riprendono a volare, a portata di tutti.