✓ N NOVITÀ Claudio Moreschini Enrico Norelli Storia della letteratura cristiana antica greca e latina voi. I: Da Paolo all'età costantiniana pp. 624 voi. II: Dal Concilio di Nicea agli inizi del Medioevo 2 tomi inseparabili, pp. 1000 Una nuova storia della letteratura cristiana scritta da due dei maggiori studiosi, noti a livello internazionale: dall'analisi delle forme letterarie in cui si diffonde il cristianesimo - il vangelo, le lettere, gli atti... - alla storia dei rapporti con la cultura classica. Un affiesco, insieme rigoroso e coinvolgente, del modo in cui l'evento cristiano s'è trasmesso diventando matrice della cultura occidentale Biblia (associazione laica di cultura biblica) Vademecum per il lettore della Bibbia con scritti di A. Bonora - P. Capelli A. Cini - P. De Benedetti - C. Gasparo V. Mannucci - G. Menestrina • L. Perone A. Rizzi - J.A. Soggin - P. Stefani pp. 328 Una introduzione alla lettura della Bibbia. Dotato di un prezioso vocabolario e numerose cartine geografiche, diventa strumento indispensabile per chiunque voglia accostarsi alla Sacra Scrittura Marco Ivaldo Filosofia delle cose divine Saggio su Jacobi pp. 300 Una monografia che si presenta come un'introduzione alla filosofia di Jacobi MORCELLIANA ^ Via G. Rosa 71-25121 Brescia^ OTTOBRE 1996 Peter Handke, Un viaggio d'inverno. Ovvero, giustizia per la Serbia, Einaudi, Torino 1996, ed. orig. 1996, trad. dal tedesco di Claudio Groff, pp. 88, Lit 16.000. Peter Handke ha fatto un viaggio. Non lungo, ma molto bello e struggente. In un paese invernale, silenzioso, diverso - per fortuna -dalla cartolina alla Kusturica della terra dove la neve blocca le finestre, tutti sono selvaggiamente innocenti, le cicogne fanno i nidi sui tetti delle case, eccetera. E stato nelle lontane retrovie di un fronte di guerra, anche. E dietro le linee ha scoperto che ci sono uomini e non orchi, i segni del tempo nella pelle e la fatica di secoli addosso, talvolta espressa da uno sguardo che interroga senza parole. Un viaggio di emozioni, di sentimenti, filtrato dallo sguardo di amici fidati, alla ricerca di quelle che Handke chiama "terze cose", la realtà minuta e invisibile del quotidiano a margine degli eventi storici. Un'operazione condotta da un soggetto forte, tutt'altro che in filigrana, che si vuole "lucido e autoritario come appunto un narratore di fiabe", anche se Handke vorrebbe muoversi "da passante qualsiasi, neppure riconoscibile come straniero e viaggiatore" (ma lui sa bene che non è possibile né lecito mimetizzare la propria satolla diversità agli occhi di chi soffre). Un'operazione che avrebbe messo capo a un libro molto bello, come il viaggio, se fosse davvero funzione del dubbio, se la parte migliore ^ I N. 9, PAG. 14 di professionisti della cultura disposti a mobilitarsi per la vita, la libertà, la circolazione delle idee, ma che se ne trovino ben pochi interessati concretamente alla vita, alla libertà, alla circolazione degli umani (soprattutto se appartenenti ad altri ceti). Certo, una - pur soggettivissima - ragione per il suo livore, Handke ce l'ha: non si può dimenticare che l'ambiente giornalistico e intellettuale in cui matura il suo libro, quello austrotedesco, è condizionato dalle posizioni violentemente filocroate dettate dagli interessi dei governi di quei paesi nel conflitto balcanico. È vero che l'informazione tedesca assume spesso i toni della propaganda rancorosa, ed è comprensibile che un intellettuale si scagli contro l'uso a fini di politica interna delle sofferenze di popoli in guerra. Qualcosa di analogo alle reazioni violentemente antiserbe di intellettuali inglesi e francesi in contesti influenzati da posizioni governative di segno opposto. Un po' meno legittimo è dare ascolto, ad altre latitudini, a questi sfoghi, esimendosi dalla fatica di comprendere. In Italia, ad esempio, non c'è stata la tanto denunciata "demonizzazione" dei serbi (i settimanali e le Tv usavano come fonti i portavoce Unprofor, la cui neutralità è stata molto discussa e non certo per un pregiudizio antiserbo. Addirittura per un paio di anni è stato possibile leggere - ad esempio sul "Manifesto" -le agenzie-stampa di Belgrado e Pale tradotte senza commento). Non c'è stata la demonizzazione, ma c'è stata, invece, la veemente, appassionata denuncia in ambienti intellettuali e politici di, quella presunta demonizzazione, senza effettivo riscontro sulla sostanza dell'informazione di guerra (comunque distorta, spettacolarizzante e cinica). Val la pena di ricordare che quel dibattito nacque in tutto E mondo a seguito di una massiccia campagna, centrata proprio sul termine "demonizzazione", montata dall'Organizzazione nazionale dei giornalisti di guerra serba, culminata il 13 aprile del '94 con la cacciata da Belgrado della Cnn e della Afp e con la richiesta ufficiale di provvedimenti contro i giornali indipendenti "Borba" e "Vreme" e contro la Tv Studio B. Credo che Handke, come gran parte della sinistra italiana, cada nello stesso errore che pretende di denunciare. Fin dal titolo che invoca "Giustizia per la Serbia", anziché giustizia per i serbi, mostra di far confusione fra un popolo tutt'altro che compatto e monolitico e i suoi rappresentanti politici. Mi sembra che un pregiudizio a danno dei serbi si annidi invece proprio all'interno del diffuso giustificazionismo che tende a relativizzare la portata dei crimini commessi in Bosnia e Croazia: si tratta dell'identificazione di un intero popolo (un popolo composito, inafferrabile, diviso, più volte in questi anni sull'orlo di uno scontro civile interno) con la sua scellerata leadership, dell'identificazione degli orrori di questa guerra con il compimento di una specie di destino nazionale. Sarebbe come voler giustificare o relativizzare il fascismo, magari con l'argomento che la maggioranza degli italiani è stata fascista. Attenuare le responsabilità delle élite politiche e del tessuto ► ■ dei libri del mese OCVtX-C Spirito di contraddizione di Luca Ras le Ilo non fosse preceduta da trenta pagine violente. Con queste trenta pagine bisogna fare i conti. Rivelano che l'autore si è concesso un itinerario nella fiaba, una fiaba da guerrieri, andando a cercare alle spalle di uno solo dei tanti fronti di questa guerra, inforcando a mo' di lenti un paio di amici attraverso i cui occhi guardare e in base alle cui to a fare delle proprie sensazioni la guida per l'analisi e per l'azione. Nelle pagine di Handke - ripeto, le prime trenta, quelle del libello, non quelle dolenti, oneste e bellissime che descrivono il viaggio - si leggono troppi luoghi comuni, espressioni formulari della propaganda, letteralmente identiche (come quella dei "serbi sul punto di sparire" o quella dei "musulma- (cioè tre anni e mezzo dopo l'occupazione da parte serba di quei villaggi, avvenuta per altro senza bisogno di cannoni). Eppure la Verità, quando indossa la V maiuscola, fa paura, qualunque sia il marchio che porta, e la presunzione intellettuale di svelare stando lontano (perché un viaggio, anche se fosse stato sui luoghi della guerra non basta), in percezioni decidere. Eppure diffidare degli amici, soprattutto dei più cari, e diffidare di sé, dovrebbe essere una delle prime regole per il viaggiatore nel paese delle sfingi. Sono pagine a tratti addirittura volgari, affollate di certezze senza fondamento, tradite dall'ansia della polemica, costruite a compartimenti stagni: "Chi non è d'accordo se ne vada subito, smetta qui di leggere" è il messaggio ripetuto allo sfinimento. Il tono è quello aggressivo del contraddittorio. E sono poi pagine ammiccanti, ambigue. Da un lato si presenta un'operazione che vorrebbe essere lo svelamento di una realtà nascosta da una cortina di menzogne, il ristabilimento di un'oggettività tradita dal complotto dell'informazione. Dall'altro, però, a schivare in anticipo ogni obiezione, si denuncia a ogni capoverso l'infinita soggettività dello sguardo d'autore, il dirit- ni di origine serba") a quelle di un qualunque Dobrica Cosic (lo scrittore epico, bandiera dei nazionalisti, presidente della Federazione serbo-montenegrina negli anni di guerra). Handke non si preoccupa di cercare un fondamento alle sue enunciazioni, tanta è l'ansia che lo muove, l'assoluta convinzione di stare lavorando a smantellare le menzogne di una controparte "infame". A colui che dichiara di agire nientemeno che in nome della verità è consentito far passare per elementi critici le sensazioni, le emozioni visive, le distorsioni prospettiche: non si intimidisce neppure quando afferma come se fosse realtà evidente che il dolore degli uni è composto, discreto, autentico e quello degli altri semplice esibizione in posa per le telecamere, non si preoccupa del ridicolo quando vede "macerie fumanti" sulla riva della Drina nel 1995 virtù soltanto del proprio ruolo, a volte assomiglia ai bombardamenti dell'artigliere che colpisce a distanza, ferisce senza guardare negli occhi. Infastidisce il gioco delle astrazioni eleganti che porta nutrimento soltanto alla confusione. (Anche Enzensberger, impostando un intero saggio sulla guerra civile sull'idea che quella balcanica sia una vicenda tribale, si va a impantanare in una palude di contraddizioni e, a differenza di qualunque buon matematico, si guarda bene dal dedurne l'assurdità dell'assunto iniziale). Ho l'impressione che nel ceto intellettuale trionfi una tendenza all'autoassoluzione per la propria incapacità di comprendere fenomeni contemporanei, assieme a una certa astrattezza di fondo, in virtù della quale l'eleganza di un'argomentazione ha la precedenza sulla sua verità. Ho l'impressione che si trovino centinaia