OTTOBRE 1996 Paolo malanima, Economia preindustriale. Mille anni: dal IX al XVIII secolo, Bruno Mondadori, Milano 1995, pp. 640, Lit 58.000. Donata degrassi, L'economia artigiana nell'Italia medievale, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1996, pp. 300, Lit 39.500. La possibilità di leggere in contemporanea due bei libri usciti da poco a breve distanza l'uno dall'altro e dedicati, seppure con finalità e strutture diverse, allo stesso tema di fondo (si tratta in entrambi i casi di una riflessione sull'economia e sulla società dell'età preindustriale) è occasione da non perdere. La differenza più appariscente consiste nell'ampiezza del quadro spaziale e cronologico di tale riflessione. . Più ampio il lavoro di Paolo Ma-lanima che ci offre un manuale di storia economica di impianto tutto sommato "classico", di grande completezza, rigorosamente ripartito in parti dedicate rispettivamente all'energia, all'agricoltura, all'industria, alla circolazione e alla domanda (un chiaro schematismo espositivo funzionale anche alla didattica), equilibrato nel rapporto sapiente tra esposizione delle teorie interpretative e descrizione di fenomeni e processi sulla base di una vasta e aggiornata letteratura, stimolante per gli utili richiami comparativi tra lo sviluppo dell'Europa e le vicende, in parte simili e in parte divergenti, della storia extraeuropea. Nuovo, tuttavia, per l'attenzione alle fonti e soprattutto per il periodizzamento proposto, non propriamente in linea con i manuali tradizionali (pensiamo a Luzzatto, a Pounds, a Fourquin e alle loro cesure tra medioevo ed età moderna, ma anche all'età preindustriale di Cipolla). Malanima sceglie decisamente il IX secolo come inizio della trattazione; e non tanto per' simpatia verso le ormai storiche ipotesi pi-renniane o antipirenniane, non tanto per inclinazione verso certe attuali tendenze periodizzanti di tardoantichisti e medievisti, ma per la convinzione che proprio tra IX e X secolo inizi quello straordinario processo di sviluppo (demografico, tecnologico, economico) del continente europeo sul quale si sono potute innervare le innovazioni dell'età industriale. Si tratta di una crescita graduale, a momenti impercettibile, ma sostanzialmente ininterrotta, che interessò ogni settore della società europea (quello demografico in testa) a dispetto di qualche battuta d'arresto anche grave (le "crisi" del Trecento e del Seicento) e di qualche picco (secolo XV) non più ripetuto di diffuso benessere. In questa prospettiva il libro di Donata Degrassi può essere interpretato come un a fondo, come un tassello importante di quella più ampia vicenda, dedicato com'è all'Italia e a un arco cronologico più familiare (un medioevo che termina con la scoperta dell'America) e dotato com'è, a ben guardare, di sostanziali e implicite sintonie con l'impianto di quel quadro complessivo. Infatti l'artigianato di cui Degrassi ci parla è quello di un'area e di una società tra le più vivaci nell'economia del tempo, è l'artigianato che tradizionalmente, per generale riconoscimento, connota l'intera età preindustriale anche se di fatto trascurato nelle trat- (^Ptcrt'òcì' Sembra oggi, invece è medioevo di Roberto Greci tazioni dell'economia e della società medievali, destinato sempre a cedere il passo al grande commercio, indubbiamente più appariscente e meglio documentato. Il libro di Degrassi si oppone finalmente e felicemente a questa regola, restituendo piena concretezza a un settore tanto importante. E il risultato è, anche in questo caso, la rappresentazione di un medioevo tecniche e di uomini, di bisogni emergenti entro una complessa trama di situazioni che solo un continente come quello europeo, grazie anche a una singolare struttura fisica (varia, frastagliata, intercomunicante per la presenza di mari e di fiumi), può storicamente vantare. Tutto questo qualifica l'Europa medievale come una realtà coesa anche dal punto di vista economi- che nei lunghi secoli di sviluppo (nel complesso coerente) dell'età medievale e moderna aveva creato i presupposti per la nascita, e per la veloce diffusione, di nuovi sistemi di produzione e di nuovi rapporti sociali. La complessità del quadro, dunque, invita l'autore a mettere in guardia rispetto alla fissità di teorie che spiegano l'evoluzione economica europea con monocau- 10 tra Paride e Menelao, e nel libro settimo, quando si tratta del duello tra Ettore e Aiace: "Non c'è dubbio - annota Di Benedetto - che 11 poeta dell'Wvààt voleva che gli ascoltatori, sentendo il duello del VII, si ricordassero di quello del III... Le corrispondenze che il narratore ha creato tra i due duelli sono funzionali per sollecitare un confronto tra i due duelli, e più specificamente tra Paride e Etto- mKm • - as JR" : ss re Il poema, grazie a corrispondenze e a richiami a distanza, rivela il realizzarsi di un disegno unitario voluto dal poeta. Nell'lYia-de poi si scorge una linea evolutiva: il tema eroico che si realizza nella descrizione delle varie aristie (o consacrazione dell' eroismo dei singoli eroi) e il motivo della hybris o tracotanza d'Agamennone nei confronti di Achille hanno un loro sviluppo e una loro conclusione. Dopo la morte di Patroclo al motivo dominante dell'eroismo subentra gradualmente quello della compassione: "struttura portante dell'ideologia del poema... al di là della guerra che costituisce la base della vicenda, la realtà della morte". Il canto estremo del poema: lungi dall'apparire come una novità inattesa, l'incontro di Priamo con Achille, che lo studioso analizza con molta finezza sia sotto l'aspetto formale sia sotto quello ideologico, è il culmine di un processo iniziato da tempo, già nei versi iniziali del poema. Eunità del poema rivela l'unitario disegno del suo autore: Di Benedetto non ha dubbi. E affermazione desterà certo discussioni. La critica or alista non nega un'unità del poema; ma si tratta di un'unità tematica, che si è formata oggettivamente col crearsi stesso del poema. Può darsi; ma resta pur sempre un dubbio. Già Aristotele, che disponeva non m solo dei due poemi come noi, ma poteva leggere quelli del ciclo e altre composizioni epiche, notava una diversità tra questi poemi e /'Iliade e /'Odissea, e osservava nella Poetica: "Gli altri, come l'autore delle Ciprie o della Piccola Iliade, compongono un'azione multipla su un'unica persona o un unico tempo. Di conseguenza, mentre ^//'Iliade e dall' Odissea si ricava un'unica tragedia, o soltanto due, da ciascuna, dalle Ciprie e dalla Piccola Iliade parecchie". Per concludere, bisogna riconoscere a Di Benedetto un'estrema coerenza nell'esplicazione della sua tesi, che egli porta avanti senza compromessi. La vivace discussione che certo proseguirà non potrà che chiarire problemi e contribuire a meglio conoscere l'affascinante mondo dell'epica omerica che da secoli ha interessato generazioni di fruitori. dalle forti accelerazioni e innovazioni e di un settore economico-sociale che si pone come luogo di sperimentazione tecnica, economica, sociale e perfino politica (tramite il consolidamento e il particolare orientamento, in certi casi, della struttura corporativa). Se nel lavoro di Degrassi (anch'esso strutturato secondo una chiarezza e una completezza espositiva a suo modo "manualistica" giacché prende in considerazione ogni aspetto relativo all'artigianato: da quello economico e sociale a quello culturale-ideologico-religio-so) cogliamo la fotografia della realtà quotidiana, l'aria della città, la profonda osmosi tra ambiente urbano e campagna circostante, nel lavoro di Malanima sentiamo il respiro profondo di forze più elementari, di energie più vaste e complesse, con le loro intermittenti pulsazioni tra nord e sud, tra est e ovest, in un gioco di invenzioni, di trasferimenti di co e non solo dal punto di vista ideale e culturale, con una spiccata vocazione a importare e a reinterpretare ogni genere di sollecitazioni per farle circolare rapidamente al suo interno, per renderle funzionali ai propri innumerevoli e differenziati bisogni (e poi alle proprie strategie di sviluppo), spesso riproiettandone e imponendone all'esterno versioni amplificate e positivamente stravolte. È questo il caso di molte "invenzioni" e di molti decolli produttivi di età medievale: dai mulini (ad acqua e a vento) e dai folli dotati di albero e camme al carbon fossile; dalla staffa all'uso del cavallo in agricoltura; dai grandi successi della produzione tessile alle novità rappresentate dalle industrie della carta e dalla polvere da sparo. Questo fa sì che sia lecito e doveroso sostenere che l'industrializzazione non è appannaggio della sola Inghilterra, ma dell'Europa tutta se regolarmente destinate a essere contraddette e superate (è il caso di Wrigley e della presunta dipendenza delia rivoluzione industriale inglese dalla questione energetica; è il caso - per restare al medioevo -delle teorie pirenniane e delle successive tesi di Lombard sulle quali da tempo aveva messo in guardia Violante). Ma questa della monocausa è solo uno degli idoli che vanno eliminati. Tutta una serie di pregiudizi (che solo rapidamente qui possiamo in parte evocare) vengono smascherati: la decadenza dell'Italia e delle sue città in età moderna (un errore prospettico derivante da deformazione comparativa), gli irrimediabili danni delle epidemie (in realtà portatrici di benessere, capaci come sono di eliminare irresolubili squilibri tra popolazione e risorse), la superiorità del nord per le sue innovazioni nelle tecniche agrarie (le quali in realtà non seppero generare signi- N. 9, PAG. 29 ficativi aumenti di produttività), 0 fascino dello spavaldo e sradicato mercante medievale (tale solo nella mente di Pirenne), l'idea che lo sviluppo economico debba essere completamente svincolato da qualsiasi limitazione e controllo dello stato (0 cui ruolo "benefico" per lo sviluppo è invece ormai assodato), la dipendenza della struttura nucleare della famiglia (diffusa già in certi momenti e in certe zone in età preindustriale) dalle trasformazioni della società industriale, l'idea di una bottega artigianale e di una corporazione (per tornare al libro di Degrassi) avulse dalle linee importanti del mutamento e dello sviluppo economico. Emblematico, ad esempio, risulta essere il giudizio negativo riservato da tutto un filone di pensiero economico e storico-economico alla struttura corporativa. In realtà bottega artigiana e corporazione non sono ancora, in età medievale, elementi negativamente immobili dell'economia. Anzi: dal lavoro di Degrassi la bottega appare come luogo centrale nella complessa vita urbana medievale, come .sede di elaborazione-ricezione di saperi generatori di mutamenti significativi sul piano dell'organizzazione del processo produttivo, dei rapporti di lavoro e quindi come elemento di sviluppo. Quanto alla corporazione, essa - tra XII e XV secolo - è struttura tutt'altro che statica: già funzionalissimo strumento di solidarietà tra uguali, diventerà in seguito, anche per effetto di una contaminazione con la sfera politica, elemento sollecitatore di una strutturazione verticale e gerarchica dei rapporti di lavoro, funzionale sia a contingenze economiche sia a novità produttive (manifattura, grandi cantieri); e ciò darà spazio a diverse e più allargate forme di solidarietà confra-ternale. Emerge dunque, dalle fonti dirette ma anche dalla spremitura sapiente di una copiosa serie di eloquenti fonti letterarie e iconografiche, un artigianato in movimento, consapevole di sé e del proprio ruolo nella società. Nuove ideologie politiche, d'altronde, riconoscono lentamente che l'artigianato è funzionale al buon andamento dello stato, mentre nella sfera religiosa (solo in apparenza scollegata dall'economia) le arti meccaniche vengono finalmente inserite entro i percorsi che portano l'uomo alla salvezza. È proprio in conseguenza di tutto questo che nella Lombardia e nella Toscana del Duecento avanzano figure di beati-artigiani; sono nuovi modelli di santità, ma sono anche successi che un'analisi puntuale rivela variabili e contraddittori. Non può essere un caso che i beati artigiani abbandonino alla fine il proprio lavoro, ritenuto evidentemente secondario rispetto all'impegno richiesto dal raggiungimento della salvezza; ed è pure sintomatico che certe raffigurazioni quattrocentesche (ad esempio il Cristo di Biella) insinuino che l'attività artigianale possa risultare addirittura pregiudizievole alla salvezza. Il libro di Degrassi, insomma, in qualche modo corregge l'idea che i progressi siano continui e irreversibili; allontanandoci -dalle interpretazioni di fondo dei grandi mutamenti storici, tutto ci appare più fragile e ogni faticosa conquista umana, sottoposta a costanti rischi, bisognosa di strenue difese. ' I *