DELLA SOVRANITÀ’. 99 §. X. Si domanda ancora : dee ii legislatore fervirlì o no di proemio ? II proemio della legge chiamai! quello , in cui il legislatore dimoftra la cagione della legge, e la Tua utilità e neceffità* indiandoli per le ragioni farla ricettare ed amare da’ popoli. Molti antichi legislatori non ilfimarono degno della loro grandezza ufar proemio. Platone nelle fue leggi impiega predò che un libro intero a moftrare la neceflità di un proemio . Gli uomini fon efieri razionali , e li lafciano meglio condurre per la ragione, che per la fola forza. Vero lì è , che in tempi culti e filo-fofici il proemio di una legge vuol elfer favio e fodo , e ben ragionato, affinchè anzi di giovare non nuoccia, mettendo la legge in derilione. • §. XI. Dopo il decimo lècolo criftia-no lì è veduta nafcere una queftione tra’ politici, ignota ne’ primi tempi del criCtianelìmo ; ed è : può egli o no la Chielà , cioè il Sacerdozio fere delle kggi così propriamente dette ? Non fi difputa , fe il Sacerdozio polla ferie , dove le leggi per legge fondamentale dello Stato fi fanno nelle pubbliche ^d'emblee di tutta la nazione ; perchè