PROVINCIA □I TORINO 11 dicembre 2009 - ore 21.15 Duomo Collegiata di Santa Maria Assunta SAN BENIGNO CANAVESE 9 gennaio 2010 - ore 21.15 Parrocchia abbaziale di Santa Maria Assunta VIGONE 10 gennaio 2010 - ore 21.15 Chiesa parrocchiale di Santa Maria del Borgo 26 dicembre 2009 - ore 16 Chiesa Confraternitale del SS. Sudario 27 dicembre 2009 - ore 16 Oratorio di San Filippo 5 gennaio 2010 - ore 16 Tempio Valdese 6 gennaio 2010 - ore 16 Chiesa Parrocchiale Madonna degli Angeli FONDAZIONEIICRT www.organalia.it www.provincia.torino.it Sergio Astrologo, alle radici dell'insalata, pp. 279, € 15, Robin, Roma 2008 Astrologo, nato ad Asmara da famiglia tori- nese e torinese di ritorno dall'infanzia, è au- tore di una trilogia narrativa già nota ad un pubblico appassionato (e in parte pubblica- ta in proprio): Occhi colore del tempo, Per me la vita e Premiata Gelateria Fratelli Prez- zavento. Una macchina fantastica comples- sa in cui, come ha scritto Giovanni Tesio, era "lo scenario di una Torino frugata in ogni di- rezione a costituire con le poche eccezioni di un'Africa coloniale e di una Pavia studente- sca, uno spazio di sfaccettata suggestione emotiva". In questo nuovo romanzo la città ritorna con i tratti di una mortifera fabbrica di morte, in cui tuttavia la vita può affermarsi contro ogni previsione e in modo anche pa- radossale, nonostante la presenza della ma- lattia e la costrizione negli spazi senza luce degli alloggi operai. Astrologo è molto abile nel comporre i ritratti della generazione spezzata dei padri, consumati nel corpo dal lavoro in fabbrica e dalla negazione di un de- stino. Il protagonista, legato alla madre da un affetto profondo, è un caso clinico, un uomo singolare che parla con i colombi e con i mat- ti ma poi percorre una sua carriera professio- nale, fino a diventare sovrintendente cimiteria- le della città. La sua vicenda surreale, raccon- tata con una rara capacità di introspezione, assomiglia a quella di altri personaggi irrego- lari di Astrologo, come l'Enrico Vitta di Occhi colore del tempo, segnato dalla coscienza dell'appartenenza a un mondo e dall'impossi- bilità di aderire alle sue forme e ai suoi valori. Qui però è il moloch della fabbrica a rappre- sentare la presenza costante, la cui storia si ri- costruisce a partire dalla testimonianza delle vittime, dal momento che, come è noto, la città si sforza di cancellare le tracce e la memoria del suo recente passato industriale. Monica Bardi Carmine Abate, Gli anni veloci, pp. 246, € 18, Mondadori, Milano 2009 Storia di un amour fou, à la Truffaut: Nicola e Anna, giovani calabresi, si conoscono quan- do lei per studiare va a pensione in casa di lui, a Crotone; i due si innamorano, finché, cre- scendo, le loro strade si dividono dolorosa- mente. Incontriamo Nicola nel 1998, circa venti anni dopo, quando muore Lucio Battisti. Da qui comincia la storia: Nicola, ossessiona- to dall'amore per Anna che ha fatto perdere le sue tracce al Nord, andrà in cerca di lei fino a ritrovarla. La quète passionale prende forma in una complessa architettura narrativa: il pre- sente di un Nicola professore di ginnastica in cerca della sua amata, ora paroliera di suc- cesso, si alterna al passato. Il progressivo precipitare del passato verso il presente è, in- sieme, la fretta di crescere e arrivare dei due protagonisti all'appuntamento con la vita adul- vietico un'impronta originale e indelebile. Che l'iniziativa di "Moviement" sia cominciata con tre titoli particolarmente suggestivi è certa- mente un buon segno, (www.moviementma- gazine.com/). Gianni Rondolino Furio Jesi, Il mito, con una nota di G. Schiavoni, (in appendice: Sopravvivenze mitiche dell'esoteri- smo nazista), pp. 204, € 12.00, Torino, Aragno, 2008 Wendy Doniger, La differenza sdoppiata. Identità sessuale e mito nella Grecia e nel- l'India antiche, trad. dall'inglese di Anna Ber- tolino, «Il Ramo d'Oro», 2009, pp. 428, € 48, Mi- lano, Adelphi, 2009 Quando militava nei gruppi della «nuova si- nistra», Furio Jesi scrisse un'introduzione allo studio del mito e delle sue interpretazioni, limi- to (ISEDI, 1973), nell'ambito di una collana di divulgazione popolare della filosofia contem- poranea. Il libro fu ristampato negli Oscar Mondadori (1980, 1989), ma è rimasto quasi due decenni nelle biblioteche, prima di essere recuperato quest'anno (con un inedito: So- pravvivenze mitiche dell'esoterismo nazista, G. Busi, «Il Sole24 Ore», 12/10/2008), da Ara- gno, un editore specializzato nel riproporre i classici recenti del pensiero italiano (lo ha fat- to col Suicidio della rivoluzione di Augusto Del Noce). Jesi è ancora vicino alle posizioni di Kàroly Kerényi. Al centro della sua riflessione l'idea che la mitologia sia «la scienza di ciò che non c'è». Il mitologo non ordina cono- scenze relative alle forme di accesso ai «fatti miracolosi», ma assembla i «materiali mitologi- ci» prodotti da una macchina che «gira in cer- chio, sempre alla stessa distanza, attorno a un centro non accessibile». Non meno originali sono le ipotesi sul mito e la «differenza» di Wendy Doniger. Allieva di Mircea Eliade alla Divinity School di Chicago, Doniger è nota co- me studiosa dell'erotismo sacro hindu (Siva. The Erotic Ascetic, 1981, trad.it. CEiva. L'a- sceta erotico, Adelphi, 1997). La differenza sdoppiata, che «Il Ramo d'Oro» Adelphi ospi- ta tra La dottrina del sacrificio dei Brahamana di Sylvain Lévi e lo Chateaubriand di Marc Fu- maroli, analizza il tema classico del «doppio», dai Veda fino al pop contemporaneo. La varia- zione narrativa del mito si basa sulla prolifera- zione sessuale delle identità (ci si scinde sotto lo sguardo degli individui di sesso opposto). Gli archetipi si moltiplicano in un numero infini- to di «simulacri» - Doniger parte dalle vicende parallele di Elena di Troia e di Sita, la moglie di Rama, che non sarebbero mai state rapite, ma avrebbero preso parte come «nomi» alle epi- che contese per il loro possesso. La mitologia è un calcolato e caotico procedere di analo- gie. È un vortice, che riempie lo spazio e ten- de al vuoto, dal momento che la sua ragione profonda consiste nel far coincidere l'ordine naturale con il moto perpetuo di Eros. Valentino Cecchetti fa, e l'ansia con cui, grazie allo stile pastoso, trasparente e fluido di Abate, corriamo sull'on- da delle pagine per conoscere la fine di que- sta appassionante storia d'amore. Altro tema del romanzo è il talento. Nicola, ragazzo di provincia dotato nella velocità e con il mito di Mennea, riesce a raggiungere traguardi molto ambiziosi. Anna, che ammira follemente Batti- sti, spera un giorno dì diventarne l'autrice dei testi. Il loro talento è il riflesso dei due astri che costellano la storia, Lucio Battisti e Rino Gae- tano: la loro "morte giovane" è a sua volta il doppio emblema della fuggevolezza della gioventù (anni veloci, appunto) e di un talento eccezionale che riesce a perdurare nel gusto delle generazioni. Questo romanzo è intriso dell'impegno caparbio che è necessario per coltivare il dono del talento e di una visione non ideologica (ma appassionata) del mondo: per questo sarebbe bello che i giovani lo leg- gessero. Gianni Cascone za anti-TAV di Venaus nel 2005 (e qui l'autore fa onore al suo mestiere di giornalista). Il pre- gio del libro è il connubio fra intelligenza ed emozioni, non c'è una netta scelta di campo fra descrizioni affettuose e accenni alla dimen- sione montana come metafora della vita: l'a- scesa è il tempo del silenzio, la sosta quello della parola. Simona Bani Carlo Grande, Terre alte. Il libro della mon- tagna, pp. 222, € 12, Ponte alle Grazie, Firenze 2008 L'autore de La via dei lupi (che diventa ora un film sceneggiato con Fredo Valla), in questo libro sfugge alle definizioni di genere, con pa- gine diaristiche che hanno il taglio della narra- tiva e osservazioni profonde che attengono al- la saggistica. È memo- ria rivisitata e in quanto tale riflessiva e giudi- cante. In capitoli intitola- ti da una singola parola (dal salire allo scende- re, dalla valle alla colli- na), Grande lamenta i "tempi di carestia fisica (di aria, di acqua, di ter- ra) e spirituale (etica ed estetica)" e propone la frequentazione delle "terre alte" (anche quel- le a portata di tutti, non solo del grande alpini- smo) "per ritrovare di- gnità, poesia, contem- plazione, senso dell'e- roismo". La montagna è antidoto al mito della ve- locità, ma non bisogna dimenticare che è fati- ca, con elementi contraddittori che emergono nel rapporto con il progresso: un interlocutore walser ricorda che nell'economia del passato (erba e pascoli) sarebbe stato impensabile trarre guadagni dalla neve e dal ghiaccio de- gli sport invernali. La montagna - una sorta di alterità interna, di esotismo alle soglie di casa - ospita animali demonizzati (i 500 orsi sloveni hanno fatto una sola vittima in dieci anni) e ri- cordi storici più deformati di quelli di pianura (da Annibale a Roncisvalle). Nessun luogo co- me la montagna poteva contenere la resisten- "Moviement" n. 1, David Lynch I, n. 2, Terrence Malick, n. 3, Kira Maratona, Manduria (Ta) 2009 "'Moviement' è una pubblicazione di cultura cinematografica senza fissa periodicità. Il no- me scelto è un neologismo derivato dal sem- plice accostamento di due termini in un certo senso quasi sinonimi che danno luogo ad un reciproco rafforzamento semantico, movie (ci- nema/film) e movement (movimento)". Così si legge nella presentazione del primo quaderno della bella iniziativa editoriale, diretta da Co- stanzo Antermite e Gemma Lanzo, nata a Manduria in provincia di Taranto. Partiamo da David Lynch. Su di lui e sui suoi film molto è stato scritto, ma i saggi di autori italiani e stra- nieri raccolti da Antermite e Lanzo affrontano temi e problemi in parte nuovi o riproposti in un'ottica diversa. Si va dall'uso del digitale in Inland Empire al ruolo della musica nei suoi film; dal rapporto con la pittura, allo studio at- tento e puntuale di Mullholland Drive; dall'ana- lisi di Twin Peak al sag- gio "filosofico" sull'ango- scia e sul nulla nel suo cinema. Medesimo ap- proccio critico, si riscon- tra negli altri due qua- derni, dedicati rispettiva- mente a Terrence Malick e a Kira Muratova. An- che qui gli scritti raccolti forniscono nuove sug- gestioni critiche, nuovi approcci analitici. Penso al saggio di Adrian Mar- tin sul cinema di Malick o alla proposta di Robert Sinnerbrick di conside- rarlo "heideggeriano"; ma anche allo studio di Giorgio Piumatti sulle colonne sonore, a quello di Alberto Spadafora sul tessuto narrativo dei suoi film, soprattutto all'attenta analisi che fa Jean-Michel Duratour dì The New World. Per quanto riguarda Muratova, l'introduzione di Ruslan Janumyan all'opera della regista è un indispensabile viatico alla lettura degli altri saggi, a cominciare da quello di Simona De Pascalis sulla "desacralizzazione dei corpo". Perché non v'è dubbio che Kira Muratova, pur- troppo poco nota al pubblico italiano, è una re- gista di grande statura, i cui film, fra il dram- matico e il satirico, il memoriale e il poetico, hanno lasciato nel cinema sovietico e post-so-